La capacità di svincolarsi dall’azione, “delegandola” al linguaggio verbale e non verbale è ciò che differenzia l’essere umano da tutti gli altri animali non umani. Dal momento che su questa differenza abissale fondiamo gran parte della nostra teoria etoanalitica, vale la pena di approfondire questo tema. L’allusività del linguaggio, e quindi dello stesso comportamento, è alla base di ogni forma di “ambivalenza”/“ambiguità”, o di ciò che nella Etoanalisi ho definito la forza della suggestione. La suggestione è la capacità di far vedere “altro” da quello che appare. L’“altro” è ciò che l’agente può figurarsi o immaginarsi partendo dal segnale/segno ricevuto. In altri termini, attraverso la forza della suggestione è possibile scorgere negli effetti ricevuti dal gesto o dalla parola pronunciata dei legami inattesi. La suggestione non equivale a ciò che un qualcosa può “suggerire” o evocativo, in quanto la suggestione crea un legame emotivo tra ciò che la suscita e chi la subisce. Ad esempio, posso mostrare un oggetto qualsiasi a qualcuno e chiedere cosa esso gli suggerisca, nel senso cosa esso evochi, ma tra l’oggetto mostrato e ciò che esso evoca non sussiste alcun legame emotivo, o detto in altri termini nessuna forma di coinvolgimento emozionale. Se l’oggetto mostrato fosse invece in grado di suscitare un qualsiasi grado di coinvolgimento emozionale, allora non siamo più in presenza di un effetto evocativo, ma di un effetto suggestivo. Un bel tramonto mi può suggerire un momento di calma, di tranquillità, di beatitudine, così come mi può evocare un momento particolare della mia vita. Un’ombra, invece, in una strada scarsamente illuminata mi può suggestionare, facendomi scorgere la minaccia di un agguato o la presenza di uno spirito che s’aggira per quelle vie, mi rimanda cioè a qualcosa di inatteso che sta per accadere.
Perciò senza la forza e la potenza dell’allusività non potrebbe mai emergere un ordine di cose diverso da quello esistente. In altri termini, non potrebbe darsi neanche ciò che va sotto il nome di “cultura”. E ciò è dimostrato proprio dai prodotti più complessi della cultura, ossia i cosiddetti prodotti dell’arte, che sono le forme espressive più “allusive” che l’essere umano sia in grado di produrre. Per questa ragione, la differenza tra il linguaggio degli animali non umani e quello umano non possiamo concepirla come una differenza di tipo evolutivo, come se si trattasse di un caso di sviluppo del linguaggio dal regno animale a quello umano, come se il linguaggio umano rappresentasse il vertice di uno sviluppo all’interno di una scala evolutiva della comunicazione.
L’essere allusivo del comportamento umano è ciò che differenzia l’essere umano da ogni altro animale non umano. Che gli animali possano comunicare è ormai una nozione acquisita; perciò è nata una scienza, la zoosemiotica, che si occupa dei sistemi di comunicazione degli animali non umani. Inoltre, che gli animali siano capaci di saper variare uno schema comportamentale non è una novità; anzi, che un animale sia capace di saper variare il più possibile un tale schema fa parte propria della sua specificità istintuale: specificità degli organi predisposti a reagire a determinati stimoli, e specificità degli stimoli ambientali a cui gli organi sensoriali reagiscono. Che, ad esempio, un cercopiteco sia capace di variare il suo comportamento, in base allo stimolo esterno, emettendo uno specifico segnale di allarme per ogni specifico predatore, non è un tratto assimilabile al comportamento umano.
Pensare che il comportamento umano, e quindi anche il suo linguaggio, sia soltanto una forma più complessa e più elaborata del linguaggio degli animali non umani vuol dire semplicemente non aver compreso lo iato o l’abisso che divide le due forme di comportamento e di linguaggio. In altri termini il linguaggio degli animali umani non si differenzia da quello degli animali non umani per una maggiore complessità, come si sostiene da più parti, né possiamo considero come un «linguaggio speciale». Il linguaggio umano è specifico al suo essere un animale dall’apparato istintuale carente. Tuttavia si tratta di precisare in che consiste tale specificità.
Chi pensa di poter ricondurre e studiare il linguaggio umano all’interno della più vasta famiglia dei sistemi di comunicazione del mondo animale, vuol dire che non ha considerato abbastanza la specificità del linguaggio umano, cioè il divario che divide il linguaggio umano da ogni altra forma di linguaggio non umano. Il linguaggio umano non è un linguaggio analogo ad altri linguaggi presenti nel mondo animale: il linguaggio umano costituisce una fuoriuscita irreversibile da quel mondo. Tra il nostro linguaggio e quello del mondo animale non sussiste un rapporto quantitativo (più complesso, più elaborato, ecc.), ma sussiste un rapporto puramente qualitativo: è un’altra cosa o più semplicemente “rimanda sempre ad altro”. Se rimaniamo all’interno di una prospettiva puramente comunicazionale, lo iato non appare in tutta la sua evidenza: che un segnale sia emesso da un essere umano o che sia emesso da un animale non umano non cambia effettivamente la sua natura. Ma il punto è un altro. Il linguaggio umano gestuale o verbale è per “natura” un linguaggio sempre “allusivo”: l’essere allusivo costituisce la distanza, l’abisso o il salto di qualità rispetto a tutti gli altri sistemi di comunicazione. Voglio in sé non esiste «messaggio» che non sia allusivo, cioè che non possa rimandare ad altro. Ogni messaggio è “ontologicamente” allusivo. Potrei anche dire che il linguaggio dell’animale non umano è un linguaggio stabilizzato, nel senso che non rimanda, non allude mai ad altro; cioè è un linguaggio privo di ogni forma di allusività.
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