Magazine Diario personale

La fotografia.

Da Gattolona1964

 La fotografia

C’era una volta una dolce e triste bambolina di 6 anni che appariva in una vecchia fotografia in bianco e nero, era il 1952.Aveva uno sguardo cosi serio e profondo, da fare invidia a qualunque laureato o sapiente che io possa avere mai conosciuto nei miei 30 anni di vita.L’aveva pettinata la sua mamma, fiera e robusta contadina dell’Emilia.Aveva usato un ferro da camino scaldato al fuoco.Le aveva anche bruciato un’orecchia, per farle quei meravigliosi boccoli che le incorniciavano il visino mesto e triste, senza nemmeno l’ombra di un sorriso.La bimba indossava un abitino che sembrava fatto su misura per lei da una grande sartoria di Reggio Emilia.Invece glielo aveva confezionato la Bianca, nelle ore notturne, rubandole al riposo, dopo una giornata di duro lavoro nei campi.Era un abitino estivo, la stoffa era tela da paracadute, una seta molto grossa e robusta che la bianca aveva portato da Langhirano quattro anni prima.Le era stata regalata da un partigiano, quando, alla fine della seconda guerra mondiale le donne facevano a gara per accaparrarsi quei preziosi ritagli di stoffa.Allora la triste bambina aveva solo 2 anni, ma la Bianca con la solita pazienza e abile maestria,l’aveva allungata con la stoffa rimasta, le aveva cucito il corpetto con i volants nelel maniche e nel collo, applicando nel retro dell’abitino, un grande ed inamidato fiocco. Com’era graziosa la bimba seduta sul seggiolino, nello studio fotografico di Artioli! Il vestitino l’aveva sfoggiato in quell’occasione, per fare la classica foto ricordo.Anche se la Bianca le aveva ordinato di sorridere, lei non vi riusci’.Le labbra non si schiudevano, gli occhi non le si illuminavano, nemmeno se la Bianca insisteva: aveva sempre lo sguardo triste e spaurito, come se pensasse ai suoi pochi anni già trascorsi, e nello stesso tempo presagisse quelli futuri.Sembrava che lo sapesse perfettamente, che avesse già indovinato il suo futuro.Come ricordava perfettamente ciò che era successo al povero Fofè, il suo gattino adorato e amato, morto e sepolto da lei con tutti gli onori, come si conviene ad ogni gatto o essere umano che si ama e si rispetta quando è in vita.Era la sua unica compagnia,l’unico essere umano al quale lei poteva parlare senza essere sgridata.Lo portava nel suo letto, nella buia e triste soffitta, lo copriva con il piumino, gli dava persino il borotalco! Tutto questo a dispetto della Bianca, che urlava e non voleva, ma lei lo faceva ugualmente curandolo con molto amore. Potevano quegli occhi, già sapere quanto dolore e lacrime, sarebbero arrivati molti anni più tardi? Quando lei già sposa e madre di un bambino, avrebbe portato dentro di sé un dolore cosi’ profondo da segnarla per tutta la vita. Così come non dimenticherà mai la lama di quel coltello che affondo’ per ben sette volte, nelle carni di suo padre in quella calda ed afosa notte d’estate.Aveva 6 anni la dolce creatura, e la paura folle di quel terribile spettacolo di sangue e urla di morte, la segnerà per sempre… Ti voglio un bene immenso, da morirne,mi viene da piangere ancora oggi se ripenso a ciò che ti è successo. povero piccolo pulcino, tata adorata..,meno male che allora non ti rendesti conti del perchè di tutto quel sangue.Perchè io non ero ancora nata e non ero lì con te, a proteggerti e ad accarezzarti i capelli, come si fa tra sorelle che si vogliono bene? Perchè non sono nata prima, quando forse sarei stata desiderata, saremmo state vicine anche in quel frangente e ci saremmo abbracciate strette strette, cercando, insieme di dimenticare.Poteva la bimba della fotografia, essere cosi’ intelligente e sapere di quel lontano lutto piccino, di quelle malattie da dover superare, della paura incontrollabile e mai superata, di quell’ombra nera che la potesse rapire per sempre, in un gelido giorno d’inverno?La cosa certa e ben sicura era che la bimba doveva stare seria e zitta anche dopo la fotografia.Non poteva permettersi il lusso di ridere e scherzare troppo, non doveva fare molto rumore,in casa c’erano già rumore e schiamazzi.Per questo la bimba dimostrava un’ordine e una disciplina militareschi, che l’accompagneranno sempre nella vita, e soprattutto nella sua professione.Aveva già nella sua mente, sin dal primo giorno d’asilo, che cosa voleva fare da grande:l’insegnante dei bambini grandi, diceva.Lo avrebbe fatto, con serietà, onestà profonda e assoluta dedizione.La bambina, pero’, mentre il fotografo scattava le fotografie, avrebbe potuto anche solo per un attimo accennare un sorriso, lui l’avrebbe colto e sarebbe rimasto impresso per sempre sulla carta, forse l’unico sorriso delle sue foto da bambina.Se lei avesse pensato al suo futuro vicino ad un uomo buono e generoso, nato apposta per lei tanti anni prima, per donarle in futuro tutti quei giocattoli che mai aveva posseduto, che l’avrebbe ricoperta d’ attenzioni e carezze materne e paterne, quelle che lei non conosceva.Forse se avesse immaginato suo figlio, cosi piccolo e tenero appena nato..Se avesse immaginato che dopo Fofè, sarebbe arrivata una sorellina alla quale poter parlare, e dare tutto il borotalco che voleva…solo allora, forse, i suoi grandi e seri occhi avrebbero sorriso e il fotografo avrebbe potuto fotografare la bambina con i boccoli più perfetti che si erano mai visti, ed vestitino da principessa,cucito con quella povera stoffa da paracadute.Ma questa è un’altra storia, ed io non avrei scritto le poche ma vere righe della sua vita, parlando di mia sorella, di Fofè, che non è certo un’errore di ortografia, ma il vero nome di un gatto e della Bianca, che non era la sarta del paese, ma la nostra forte, onesta, robusta, anche se in passato, distratta..mamma.


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