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La gabbia della geografia sportiva

Creato il 28 giugno 2013 da Calcioromantico @CalcioRomantico

Pierre_de_Coubertin_1Pierre de Coubertin nel 1911 sosteneva che la geografia sportiva non potesse essere dissimile dalla geografia politica ed era forse un modo per permettere ad alcuni Stati come la Finlandia, allora sottomessi ai grandi imperi, di avere proprie rappresentative ai Giochi Olimpici. A un secolo di distanza l’auspicio del fondatore del CIO è divenuto un qualcosa di così tangibile che una geografia sportiva non ingabbiata nella geografia politica e, in senso più ampio, non specchio delle aspirazioni economiche e culturali dei singoli Stati è inimmaginabile.

Pensiamo alla nazionale di calcio australiana. Il trasferimento “contro-geografia” dalla OFC alla AFC, ovvero dalla Confederazione dell’Oceania a quella asiatica, ottenuto col beneplacito della FIFA nel 2007, ha un chiaro obiettivo sportivo, avere maggiori probabilità di qualificarsi alle fasi finali dei Mondiali, e il 2010 ha mostrato che l’intuizione è giusta. Da anni, però, la nazione Australia ha nelle vicine potenze asiatiche importanti partner commerciali e una più stretta frequentazione calcistica non potrà che aumentare questa vicinanza economica ed evidenziare comuni aspetti sociali.[1]

L’Asia geografica ci fornisce altri esempi. Dalla Turchia europea alle ex repubbliche Sovietiche. E Israele, il cui legame con l’Occidente e con la sua ideologia, fortemente coloniale e liberal, è innegabile e il cui inserimento nella UEFA è anche sbocco delle proprie aspirazioni culturali. La gabbia della geografia politica, però, nel caso israeliano ha anche un’altra sfaccettatura, legata questa volta ai danni e non ai vantaggi che essa reca. Ci riferiamo al triangolo Israele, paesi arabi e Confederazione Asiatica che va in scena tra il 1954 e il 1974.

La bandiera del Mandato Britannico di palestina

La bandiera del Mandato Britannico della Palestina

Quando a Manila l’otto maggio 1954 nasce la AFC (Asian Football Confederation) dodici sono i paesi che vi aderiscono: Afghanistan, Burma (ora Myanmar), Indonesia, Corea, Taipei, Hong Kong, India, Giappone, Pakistan, Filippine, Singapore e Vietnam. L’assenza dei paesi arabi è talmente palese che rischia di passare inosservata. Eppure la federazione calcistica libanese è nata nel 1940, quella irachena nel 1948, quella giordana nel 1953, quella siriana nel 1949 e ha già provato a qualificarsi ai Mondiali del 1950.
La federazione israeliana, invece, aderisce alla neonata AFC e non all’UEFA, benché la rappresentativa del Mandato Britannico della Palestina, nota anche come Eretz-Yisrael nella dizione ebraica, avesse partecipato nel 1938 alle qualificazioni mondiali come squadra europea (sconfitta dalla Grecia). La scelta è probabilmente indice di una volontà israeliana di sentirsi o di comportarsi da paese asiatico e della volontà di avere avversari calcisticamente alla propria portata. Lo sport è comunque sempre un buon viatico per intrattenere rapporti. Se si è vincenti, meglio. Certoa Tel Aviv l’idea di espandersi nei territori confinanti dovevano comunque già averla se è vero che la prima crisi con l’Egitto è del 1956.

Le prime proteste arrivano nel 1963 quando l’Indonesia si rifiuta di ospitare Israele in occasione dei Giochi Asiatici. Il CIO, in tutta risposta, toglie l’ufficialità alla manifestazione. Lo stesso anno le federazioni calcistiche arabe danno vita alla Arab Nations Cup che vede in lizza asiatiche e africane: comincia quindi una certa sinergia anche a livello sportivo tra Iraq, Libano, Kuwait, Siria e Giordania. La coppa araba si ripete fino al 1966, ma nessuna delle squadre asiatiche che vi partecipa si iscrive fino al 1972 alla Coppa d’Asia, che ha invece Israele spesso come protagonista. Il 1972 è l’anno della svolta: nelle qualificazioni alla Coppa compare una nuova zona che riserverà un posto nella fase finale ad una delle nazioni arabe, l’Iraq, e al contempo Israele, addirittura inizialmente designato come paese ospitante, si ritira. La pressione delle nazioni arabe e il peso in seno all’AFC diventa man mano incompatibile con la presenza di Israele che nel 1974 viene di fatto estromesso.

Macelino in gol

Macelino in gol

Chiudiamo con un’altra gabbiadella geografia politica, una  gabbia tutta europea che anticipa i grandi boicottaggi delle Olimpiadi anni ottanta, ma è poi volta in pura propaganda. La Spagna del Caudillo Franco non ha rapporti con l’URSS e così nel 1958 impedisce al Real Madrid di recarsi a Riga per la semifinale della prima Coppa dei Campioni di basket e nel 1960 impedisce alla nazionale di calcio di andare in URSS per i quarti del primo Europeo. Ma quattro anni dopo ospita la fase finale degli stessi Europei e non si rifiuta di incontrare i sovietici in casa propria, anzi li sconfigge in finale 2-1 in un tripudio di propaganda nazionalista. Forse il dittatore è sicuro del successo o forse è sicuro che gli spagnoli non si accorgeranno mai di un’eventuale sconfitta se è vero che aspetteranno più di quarant’anni per vedere il cross che porta al gol vincente di Marcelino.   

federico

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[1] cfr. Nicola Sbetti su Pianeta sport n°3, pag. 74-75


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