Tante, troppe volte mi viene più facile criticare l’impostazione dei giornali piuttosto che applaudire qualche loro aspetto, ma la prima pagina dell’uscita odierna de La Gazzetta dello Sport si presta bene a questo secondo tipo di approccio: dura e d’impatto, tutta giocata sui toni del rosso e del nero, parla “alla pancia” della gente senza però essere troppo offensiva o demagogica come letto su altri quotidiani (sportivi o non) di questo mercoledì 13 ottobre post-guerriglia.
Cavalca la prevedibile indignazione della gente senza scadere nella banalità, senza inneggiare alla “guerra santa” o alla “punizione esemplare” come visto fare più volte sui social network anche da persone che avrei ritenuto insospettabili in tal senso.
Detto questo Italia-Serbia doveva essere una partita di calcio, invece queste “bestie” l’hanno trasformata in prova di forza, rivendicazione politica, contestazione becera. Ovvero tutto quello che NON è calcio, non è sport, non è tifo. E dietro a questi scellerati il tifoso medio, preda dei suoi più bassi istinti vendicativi direttamente sulla poltrona di casa sua, si è scatenato inseguendo da dietro una tastiera gli abissi della follia di questo uomo grosso e nero, coperto da un passamontagna, diventato icona negativa dell’irreale serata genovese sulla prima pagina di tutti i quotidiani nazionali.
Non so quanti appelli alla violenza ho letto in pochi minuti su Twitter, Facebook e FriendFeed, quanti “avrebbero fatto bene a sparare”, quanti si sono esaltati nel vedere finalmente le manganellate della polizia e il sangue dei feriti, senza contare le allusioni razziste più o meno velate lette tra le righe di alcuni commenti. Non c’è niente da fare, la bestialità attira l’altra faccia di sé in una reazione uguale e contraria, come due poli opposti di un magnete.