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La genetica moderna ha smentito il darwinismo classico

Creato il 12 luglio 2013 da Uccronline

Genetica 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

L’origine in Terra di tante forme di vita, diverse eppure simili, è un problema che ha interrogato l’uomo da sempre, dando luogo a miti e speculazioni. Nel 1837 Charles Darwin, alla fine di un “lungo ragionamento” iniziato col suo viaggio intorno al mondo – durante il quale aveva osservato ambienti diversissimi, dal Sud America all’Africa, dall’Australia all’Asia, raccogliendovi oltre 4.000 reperti di specie vegetali ed animali – credette di aver trovato la risposta nel binomio caso + selezione naturale.

Per Darwin, dati uno o pochi organismi iniziali sulla cui origine egli non avanzò ipotesi, tutte le specie si sono sviluppate l’una dall’altra; e il motore dell’evoluzione (durata 4 miliardi di anni, come ora si ricava dalle età dei fossili) sta nella successione di piccole mutazioni casuali, i cui effetti cumulativi sulle prestazioni degli individui sono selezionati; con la sopravvivenza dei più efficaci a moltiplicarsi nel loro habitat. Come l’atleta mosso dalla competizione rafforza con l’allenamento i muscoli e progredisce nelle sue performance, così la lotta quotidiana per la ripartizione delle risorse adattò i becchi dei fringuelli alle specialità alimentari di ogni isola delle Galapagos moltiplicandone le varietà. Lo stesso accadde altrove per le altre specie, via via fino a coprire mare, terra e cielo delle più forti e più prolifiche in ogni nicchia. Fino all’uomo.

Secondo tale proposta, la selezione naturale non fa soltanto la spogliazione come una massaia agli scaffali del supermarket, così spiegando in maniera convincente la scomparsa accertata di molte specie, ma in cooperazione col caso creerebbe anche la novità – come al supermarket non fa la massaia, ma l’azione di rifornimento del commerciante –. Darwin era consapevole dell’importanza cruciale del meccanismo della selezione naturale nella sua teoria, perché sapeva che un monologo del caso avrebbe potuto svolgere solo ruoli comici nel teatro della scienza. Sicché nel suo capolavoro egli mise bene in evidenza fin dal titolo (“The origin of species by means of natural selection”) e nelle introduzioni a tutte le edizioni finché fu in vita, che la selezione naturale era per lui “la causa principale delle modificazioni” tra specie, ammettendo che una smentita di questa assunzione avrebbe invalidato la sua teoria.

Ebbene, “oggi” la creatività della selezione naturale, buona forse per le conoscenze fisiche e chimiche di metà ‘800, non sta più in piedi. Da allora è passato un tempo enorme per il progresso scientifico, un’epoca di scoperte rivoluzionarie superiori a quelle avvenute in tutti i secoli precedenti di storia umana: una biologia evolutiva che non tenesse conto di questa accelerazione sarebbe come una chimica ferma a Lavoisier, ignara della tavola di Mendeleev e del polimerismo del carbonio, ecc., o come una fisica ferma a Laplace, senza elettromagnetismo, relatività einsteiniana, meccanica quantistica, ecc. Ho scritto “oggi” tra virgolette, perché la congettura di Darwin è saltata invero da 60 anni, precisamente il 28 febbraio 1953, allorché Francis Crick e James Watson annunciarono la funzione genetica della doppia elica del DNA. Perché la genetica moderna contraddice la selezione naturale come causa dell’origine delle specie?

La molecola di DNA è presente in tutte le cellule degli organismi viventi, in quelle di un gambo o di una gamba, di una foglia o di un becco, di una radice o di un’unghia, ecc. Ogni individuo di ogni specie ha la sua molecola di DNA che lo caratterizza, replicata identicamente centinaia di migliaia di miliardi di volte nel suo organismo. Ma il DNA non è solo la carta d’identità dei viventi, è molto di più: è il programma che prima della nascita guida l’embrione a selezionare e ad assemblare dall’ambiente, particella dopo particella, la materia e l’energia necessarie allo sviluppo dell’organismo e poi in vita guida nelle cellule la produzione continua di proteine necessarie al suo metabolismo. Una cellula non è “uno schifo, una roba molle, fatta di cose spesso che non servono, messe lì, che uno si porta dietro dall’evoluzione”, come il Cicap indottrina gl’ingenui alla superstizione, ma è un’organizzazione olistica avente il DNA come super-programma delle routine proteinogenetiche eseguibili dagli organelli, infinitamente superiore al più avanzato sistema robotico industriale per complessità cibernetica e al www per complessità di grafo (“interattoma”).

Nell’information technology un programma è una sequenza di istruzioni e, in un dato linguaggio, coincide con una disposizione di un numero k di simboli, ripetuti N volte. Per es., il programma al distributore automatico di benzina più vicino a casa mia è scritto in lingua italiana ed è una disposizione di k = 33 simboli (le lettere dell’alfabeto italiano, più alcuni caratteri speciali e le cifre 1-6) ripetuti N = 324 volte. Nel termine “sequenza” è inteso che le istruzioni di un programma hanno un ordine: se non ci credete, provate a caricare il serbatoio della vostra auto scambiando l’ordine delle operazioni al distributore!

In un programma informatico il numero dei simboli può cambiare da un linguaggio all’altro, ma il minimo è di k = 2 simboli (codice binario). Il programma della vita, dal batterio all’uomo, usa un codice di k = 4 simboli (i 4 “nucleotidi” A, T, C, G), di cui non ci serve qui sapere il significato. Così la molecola di DNA del batterio Mycoplasma genitalium è una disposizione dei 4 nucleotidi ripetuti N = 580.000 volte, mentre nell’uomo i 4 nucleotidi sono ripetuti 3,2 miliardi di volte. E il fatto che sintassi, linguaggio, sistema operativo (RNA) e cibernetica siano uguali per tutte le specie vegetali e animali è per me una prova che la speciazione è stata causata dallo stesso meccanismo, come già per via puramente razionale aveva intuito Sant’Agostino: “In principio furono creati solamente i germi… delle forme di vita, che in seguito si sarebbero sviluppate gradualmente” (Confessioni). Per contro, il campo dell’informatica artificiale, dominato dall’anarchia di linguaggi, sistemi operativi e device non comunicanti, tutti allegramente in lotta contro l’interoperabilità reciproca, è il risultato delle logiche del mercato conteso tra le tante aziende dell’IC&T.

Qualcuno potrà stupirsi dell’esistenza di molecole composte di decine di miliardi di atomi; ma quando si dice che la vita sulla Terra è fondata sul carbonio, ci si riferisce proprio alla proprietà speciale che ha questo elemento chimico di “polimerizzare”, cioè di formare lunghe catene di molecole più piccole, tra loro unite attraverso “ganci” come i vagoni in un treno. Nel DNA i vagoni sono i nucleotidi e il gancio che li unisce è un legame chimico particolare (legame fosfodiesterico), che è asimmetrico, così da dare ordine alla stringa distinguendo il nucleotide che viene prima da quello che viene dopo.

Ora, veniamo al punto. Come si può trasformare un treno merci in un altro, con una disposizione dei vagoni diversa ed eventualmente più lunga? La risposta è ovvia: 1) spezzando i ganci, 2) riordinando i vagoni e riattaccandoli e 3) aggiungendo altri vagoni nell’ordine desiderato. Allo stesso modo, per la trasformazione del DNA d’una specie in quello d’un’altra (da un “cariotipo” ad un altro) servono meccanismi capaci di spezzare i legami fosfodiesterici, scambiare alcuni nucleotidi di posto, ed aggiungerne o toglierne altri in un certo ordine. Ma se la quotidiana lotta per la sopravvivenza può con l’esercizio far saltare più in alto o più in lungo un canguro vivo e vegeto, o farlo correre più veloce e per più tempo, essa non può spezzarne i legami fosfodiesterici, né riordinarne i nucleotidi, né sintetizzarne di nuovi così da fargli cambiar specie, per il semplice motivo che essa agisce solo dopo l’esecuzione del programma nei fenotipi già sintetizzati: qui, nell’insieme dei caratteri osservabili di un individuo già sviluppato, essa può solo eliminare quegli organismi che, meno adatti all’habitat, così perdono la battaglia con i condòmini per la ripartizione delle risorse. Mentre a livello di genotipo (il corredo genico di un individuo), la selezione naturale può solo impedire ad un organismo di nascere o di svilupparsi ogniqualvolta una modifica genetica, per qualsiasi ragione intervenuta, provochi un crash del programma.

Insomma la selezione naturale nell’evoluzione biologica agisce come la scelta del consumatore nelle evoluzioni economica o tecnologica: interviene dopo che forme coerenti con il mercato sono apparse per scartare le meno gradite. La selezione naturale spiega la scomparsa di alcune forme, ma non spiega la genesi di nessuna, né più né meno della massaia che alleggerendo gli scaffali del supermercato non li arricchisce solo per questo di nuovi prodotti. La selezione naturale ha ruolo esclusivamente nell’eliminazione di individui e specie già esistenti e nella prevenzione di nuove specie, mai nella loro creazione. Ma questo non l’aveva già insegnato Thomas R. Malthus per le classi sociali della specie umana nel suo “Essay of the principle of the population” (1798)?

Certo, da Gregor Mendel in poi le leggi della genetica spiegano il differenziarsi di varietà e razze all’interno delle specie; ma nessuna risposta scientifica esse danno all’evoluzione interspecifica, che è ben altro. Qui la variazione della razza inciampa sull’invalicabile confine della specie: “Ogni specie vera presenta una barriera genetica, possiede un cariotipo originale. Ad ogni specie corrisponde un cariotipo; e poiché i cromosomi contengono migliaia di geni, si evidenzia chiaramente che ciò che separa la specie è qualcosa di ordine di grandezza assai diverso da una mutazione genetica” (Jérôme Lejeune).

La genetica moderna ha smentito il darwinismo classico e la Sintesi moderna, in quanto fusione di genetica e darwinismo, è auto-contraddittoria. Se nel XX secolo la formulazione riduzionistica della biologia, dipendente da una fisica obsoleta (perché superata dalla meccanica quantistica) è arrivata ad un vicolo cieco, lasciandoci “senza una visione del futuro e solo con il ronzio d’una gigantesca macchina biotecnologica” (Carl Woese), oggi la biologia deve liberarsi dal meccanicismo e dall’imperialismo farmaceutico, per rifondarsi come scienza fondamentale alla guida dell’interdisciplinarità scientifica, con focus sulla fenomenologia emergente, non lineare, olistica della forma biologica. Deve assumere la missione di capire il mondo e la vita, oltre che di servire l’industria.


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