Protagonista della puntata de Il tempo e la storia in onda su Rai 3, Emilio Salgari; un nome che rievoca immediatamente il sapore avventuroso di pirati ed eroi. Salgari lo scrittore, coglie un vuoto letterario, più o meno a metà ottocento, si rende conto che quell’Italia ha bisogno di un romanziere che parli della storia e inventa racconti avventurosi. È un ‘epoca di transizione in cui ci stanno il colonialismo, le migrazioni interne-esterne, le città in espansione, fattori filtrati dall’immaginazione di uno che di mestiere fa il giornalista.
Il giovane Emilio arriva a Verona millantando una carriera marinare tutta immaginata, prese tutta la valigia dei sentimenti popolari che avevano agitato fino a pochi anni prima la nostra penisola e la rovesciò su una carta geografica studiata in biblioteca. Non era nato per vivere una vita tranquilla ma tutti i suoi racconti furono il frutto di studi meticolosi. Tutta la sua opera è una celebrazione dell’eroismo disinteressato di chi aveva combattuto, un tributo alle dissennate impr
ese mazziniane, al sacrificio di Pisacane, alla chiamata a raccolta a Roma di tutti i ribelli del mondo. Eroismi troppo presto repressi e disinnescati dai politici e dai diplomatici, ibernati per sempre nella retorica e nell’agiografia dei manuali o abbandonati all’oblio. Sentimenti buoni solo per un romanzo, che solo in un romanzo potevano continuare a pulsare. Così, mentre l’Italia si muoveva verso Adua, Salgari conduceva solitariamente la sua polemica anticolonialista e antimperialista. Così nel 1883 i veronesi si svegliano, trovando la città tappezzata di manifesti raffiguranti una tigre…il giorno dopo compaiono scritte che annunciano l’arrivo di una mangiatrice di uomini…solo il terzo giorno L’Arena svela l’arcano e annuncia che la tigre è arrivata, leggete!Un lancio pubblicitario decisamemnte moderno, un marketing clasmoroso che ottenne l’effetto desiderato. Verona risponde e il successo è la conseguenza. Nel 1897 la regina Margherita gli conferisce la Croce di Gran Cavaliere per i suoi risultati letterari. A soli 35 anni.
Quando iniziano a uscire, a puntate, Le tigri di Mompracem è il 1883. Saghe che inneggiano al coraggio e alla disobbedienza, e rappresentano l’orgoglio di un’altra possibilità, di un altro modo d’essere, una sovversione piratesca della vigliaccheria nazionale e delle altre ingloriose tradizioni di una stirpe di imboscati e di furbi. Anche se nell’ultimo periodo Sandokan e
Janez adottano le stesse strategie imperialiste dei loro nemici.È uno scrittore di fantasia. Luoghi esotici raccontati ma mai visitati di persona se non sulle enciclopedie della biblioteca che raggiungeva in tramvia. Il grado delle sue opere è esclusivamente “letterario”. Le sue pagine nascono da altre pagine, sono reportage di altri libri, non di altre terre. I suoi personaggi più compiuti devono forzatamente avere nomi stranieri, altrimenti non prenderebbero mai vita: Tremal-Naik, Kammamuri, Sandokan e il più seducente di tutti: Yanez de Gomera.
Particolarmente vicina alla sensibilità moderna, poi, la sua capacità di impastare la vita con la fantasia e di usare soggetti realmente esistiti come James Brooke o il pirata Morgan. Tanti personaggi e tanti viaggi fantastici. Suggestioni fiutate da Salgari e portate nella realtà legandosi alla storia. Ma solo sotto il sole dell’Oriente, al riparo della sua luce che confonde tutte le cose, l’avventura di Salgari si unisce a un discorso più vasto sul destino, ai presagi, ai rischi mortali e alle guarigioni miracolose, alle delusioni storiche, ai drammi già vissuti e a quelli ancora da vivere. E lui nel dramma ci vive, la moglie Aida è affetta da psicosi. Viene ricoverata in manicomio. È una dura prova. Una prova che non può superare.
Salgari, il disincanto di come erano andate le cose lo aveva incarnato sulla sua pelle, e ne resta stritolato. Dopo un primo quasi tragicomico tentativo di suicidio, crollò definitivamente quando restò solo, con i quattro figli. Spezzò la penna tagliandosi con un rasoio il ventre e la gola in un bosco fuori Torino, a 50 anni esatti dall’Unità d’Italia, la sola morte eroica che gli era rimasta. Fu la sua estrema rivolta contro chi si era arricchito con il suo lavoro, gli editori sanguisuga per i quali scriveva “a tutto vapore”, non meno di tre pagine al giorno, e che lo avevano abbandonato in uno stato di “semi-miseria” e di autentica disperazione.
Un finale feroce e maledetto. Un finale di disperazione e miseria.
Solo il successo accompagnò questo scrittore nel suo ultimo viaggio. Il grande successo popolare del viaggiatore che Salgari aveva soltanto immaginato di essere.