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La grande bellezza

Creato il 30 maggio 2013 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

La grande bellezza
Sarà che prima di addormentarmi guardo il soffitto, e cerco il mare...
E' stato il primo pensiero esploso in me, ancor prima di abbandonare la sala. L'immagine di quel mare visto con gli occhi, e ancor prima con l'immaginazione, di Jep Gambardella e quel rumore inconfondibile, netto. La sola certezza nei momenti più vaghi del protagonista così come dello spettatore. Quasi a voler dire che nel caos più devastante e disorientante, quel rumore lì, sia l'unico appiglio. L'unico modo possibile per tornare in superficie. Ed è così anche per Jep, uno scrittore, giornalista, critico e acuto osservatore disilluso, uno dei padroni della mondanità romana, delle feste in terrazza e dei salotti esclusivi della Roma più grottesca. Jep/Toni Servillo, autore di un unico romanzo, L'apparato umano, si dichiara uomo deludente e ambizioso. Ormai sessantacinquenne capisce che non può più perdere tempo con cose che non vuole fare. La sequenza che lo vede abbandonare la camera da letto di Orietta/Isabella Ferrari è significativa in questo senso. Fuma la sua sigaretta scrutando chi gli passa accanto, osservando tutto ciò che lo circonda. Dalla lingua affilata e un certo debole per smascherare le menzogne degli esseri umani, quelli che, per intenderci, si proclamano portatori dei valori civili e morali di una società "sfasciata", esattamente come loro. Quando Jep rimane in silenzio a guardare, si crea un'insolita atmosfera, come la quiete che anticipa silenziosamente la tempesta, l'esplosione ultima che manda all'aria tutto e tutti. Ed è in questi momenti dilatati dalle inquadrature magistrali del regista che La Grande Bellezza pervade lo schermo. 
La grande bellezza
Perché guardare questo film è un po' come ammirare qualcosa di immacolato, di eterno e dalla bellezza indecifrabile mentre scivola nel degrado, nel disfacimento totale. C'è chi sostiene che il film di Paolo Sorrentino sia un ritratto tragico non riuscito fino in fondo, che rimane miseramente grottesco, non di più. Beh, io non sono d'accordo con queste affermazioni. E mi basta accennare ai personaggi scelti da Sorrentino, uomini/marionette mossi dal "nulla". Personaggi senza riferimenti se non simili all'inutile, all'apparenza e alla volgare realtà che più si vuole nascondere più affiora, senza filtro. Ecco perché Sorrentino parte proprio da una strana alternanza, una dicotomia continua che non lascia scampo. Il tutto e il nulla, il sacro e il profano, la normalità che si scontra con il grottesco, il bene servito in minuziose dosi e il male più disgraziato. 
La grande bellezza
Stefania la donna/madre che si autocompiace pur di non ammettere che la sua vita è un totale fallimento; c'è Viola, madre di un figlio problematico che si toglierà  la vita; c'è Romano, un Carlo verdone disegnato con la giusta drammaticità, quella che gli calza a pennello. Così,  finalmente, il suo contributo, torna ad essere indispensabile ai fini della comprensione di un film visto nella sua totalità. Un uomo deluso dalla sua Roma, con il sogno di recitare su un palcoscenico ma senza più la forza per restare. Ma vorrei sottolineare, almeno per come ho letto io questo personaggio, quanto Roma sia soltanto un pretesto per rappresentare poi il dolore più grande di Romano, ovvero l'amore per una donna vuota, che non gli darà mai nulla e che non smetterà mai di farsi di cocaina. C'è Dadina, la disadattata per sua stessa natura. Una donna piccola che guarda in alto, seppur continuando a osservare il mondo come fanno i bambini e forse proprio per questo, una delle poche ad aver agguantato le proprie ambizioni. Dadina è infatti affetta da nanismo ed è il direttore del giornale per cui lavora Jep. C'è poi Ramona, e voi non immaginate quanto io mi sorprenda a dire quanto sto per dire, perché vedere Sabrina Ferilli per la prima volta, avvolta da un' aura tragica e commovente, bella e condannata, credetemi lascia una leggera brezza sugli occhi. La sola che all'apparenza è donna meschina mentre nell'animo è pura. Vederla in quella piscina con quella ciambellona colorata è stato come  afferrare fin dentro le viscere la bellezza incontaminata. Cosa che abbiamo intravisto appena ,con la ragazzina in preda a uno sfogo artistico, soffocata dal suo stesso talento imposto dai genitori. 
La grande bellezza
Potremmo continuare ad elencare le figure di Sorrentino e non sarebbe male, io ne parlerei per ore. Per questioni di tempo e anche perché questo film va visto almeno due volte per essere davvero compreso, torniamo a parlare di ciò che Sorrentino è riuscito a fare. Il suo stile non lascia dubbi e non può nemmeno lasciare insoddisfatti i più fedeli estimatori del suo cinema. (Mi meraviglio di come possa lasciare insoddisfatto chiunque in realtà, ma questa è un'altra storia...). La grande bellezza dilata il tempo e lo spazio, procedendo secondo un filo narrativo sconnesso, ma solo all'apparenza. La macchina da presa immortala lo sfondo di una Roma marmorea, immobile nella sua grande bellezza ma caotica se guardata con gli occhi dei suoi stessi abitanti. Dai canti sacri del Dies Irae si passa all'inutile orecchiabilità di una nota canzone della Carrà. E Roma si presta a specchio schietto e satirico dell'esistenza umana, del malessere dell'individuo che non trova più la vera bellezza e si abbandona allo sfacelo. Su quei terrazzi grotteschi e miseri, dove passano solamente treni che non portano da nessuna parte, potrebbe compiersi, tuttavia. un piccolo miracolo. 
La grande bellezza
Sorrentino non lascia mai allo spettatore la possibilità di intravedere un futuro roseo per i suoi personaggi, però Sorrentino sa bene quali siano le possibilità che il cinema mette a sua e, a nostra disposizione. Allora è possibile che gli occhi dimentichino il corpo in rovina di una ex soubrette (Serena Grandi metafora più terrificante di una Roma "sgangherata"), di una donna che tira la sua roba e di un padre eroinomane. E' possibile che una giraffa appaia e scompaia davanti ai nostri occhi, che uno stormo di fenicotteri si fermi sul nostro terrazzo prima di ripartire verso una nuova terra. E' possibile che una "santa" basti a "sputtanare" quel marasma umano fatto di fedeli corrotti e mezzi cuochi, mentre ricorda ai commensali che la povertà non si racconta, si vive. E' possibile che su quel soffitto si veda il mare, giusto il tempo necessario per tornare alle nostre radici, alle sensazioni più pure che abbiamo lasciato indietro, insieme al nostro primo amore e alle prime scoperte. Perché ciò che conta per Jep, per Sorrentino e per ognuno di noi, è trovare l'incipit per una nuova storia, un punto da cui poter ripartire. Dove un faro e il rumore del mare rinnovano la nostra speranza, azzerando il marcio. Laddove l'eco di un film felliniano rimbomba nella nostra memoria e ci appaga, immensamente...

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