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La grande bellezza

Creato il 03 marzo 2016 da Salone Del Lutto @salonedellutto

Ci sono molte buone ragioni per visitare la città eterna. E una di queste è andare alla ricerca dei segni dell’umana caducità che sono sparsi un po’ ovunque. Due anni fa, quando andai a Roma, scrissi del Cimitero acattolico. Questa volta, invece, parto da altrove, dal Cimitero dei cappuccini (con annesso museo) che si snoda sotto la chiesa di Santa Maria della concezione dei cappuccini, in via Veneto 27.

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Ci vado con un’amica. Compriamo il biglietto e chiediamo la doppia audioguida. I richiami alla morte, già prima di arrivare alla cripta, sono numerosi. Ci soffermiamo sui reliquiari, sui cilici, su “strani” oggetti come il conta-confessioni, ma soprattutto sul San Francesco in meditazione, opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Databile fra il 1605 e il 1606 il dipinto rappresenta il santo inginocchiato, coi suoi abiti poveri, e fra le mani un teschio che richiama al memento mori, alla vanitas ma anche a Sora Morte, anch’essa motivo di lode a Dio. «’Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male’». Qui un cenno all’impossibilità della fuga. La certezza vera viene di sotto, nelle sei cripte che, una dopo l’altra ci ricordano l’ineluttabilità del destino.

Entriamo, in silenzio, e accediamo alla cripta dei tre scheletri. Tre scheletri nudi, che contempliamo nella loro interezza, catturano per primi il nostro sguardo. Si tratta di scheletri bambini, come a dire che la morte non ha età, assisi su un trono di bacini umani. Ai loro lati due clessidre alate, dalle quali impareremo che per fare un’ala di ossa basta usare una scapola. Ai due lati, due nicchie costruite con ossi sacri, vertebre e bacini, ognuna delle quali contiene la mummia di un frate: a sinistra Benedetto di Rieti, a destra Pietro Antonio di Rieti. Sulle pareti laterali altre nicchie, atte a contenere i corpi di due frati distesi. Ma la cosa più bella, per me, sta in alto, sul soffitto, dove un piccolo scheletro ci osserva dall’alto, racchiuso in un ovale simile a quello del “Mondo” nei tarocchi, simbolo di rinascita. In una mano stringe la falce, nell’altra una bilancia che simboleggia il giudizio fra il bene e il male compiuti dall’uomo, per destinarlo al paradiso o all’inferno. Per terra, sul pavimento, delle croci e la scritta che, se non l’avessimo capito ricorda: «Quello che voi siete noi eravamo; quello che noi siamo voi sarete».

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La seconda cripta è intitolata alle gambe. Otto cappuccini nei loro sai sono contenuti nelle nicchie laterali, mentre al centro, incorniciate da una struttura di teschi, due braccia incrociate – una nuda, quella di Cristo, e l’altra vestita, quella di San Francesco. Il soffitto è ampiamente decorato, con una leggerezza aggraziata che sa alternare alla perfezione i pieni e i vuoti: tutto è predisposto con gusto. Al di là del cancelletto non c’è pavimento, le croci sono piantate nella terra scura. Un richiamo alla necessità di guardare all’essenza delle cose, forse.

Poi viene la cripta dei bacini. Qui è in alto che si concentra lo sguardo, catturando prima un complicato rosone al cui centro campeggia un grande fiore realizzato con scapole da cui pendono leggere delle piccole vertebre. Il fiore è compreso in tre cerchi concentrici costituiti da ossi sacri, vertebre e astragali. Bellissimo anche il passaggio alla stanza successiva. Un teschio alato campeggia in alto, quasi sorridente, in mezzo a un fitto ricamo di ossa.

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Nella cripta dei teschi, vi consiglio di puntare dritti alla parete esterna, dove campeggia una clessidra alata, simbolo del tempo che vola, e se ne va. Ossa, ossa a perdita d’occhio tra le quali mi piacerebbe pensare vi siano davvero quelle dei frati più antichi, forse i più santi, i fondatori dell’ordine. Nel 1775, quando visitò questo luogo il cui decoro era stato recentemente realizzato, il marchese De Sade ne scrisse: «Non ho mai visto nulla di più sorprendente e per rendersene pienamente conto, così mi sembra, bisognerebbe visitare questo monumento non di giorno, ma alla luce delle lampade funerarie che sono all’interno». De Sade attribuiva il lavoro a un frate di origine tedesca o austriaca, ma vi sono anche altre ipotesi sull’origine di queste opere. Una di esse parla di un artista che si rifugiò nella confraternita per una serie di problemi con la legge. Durante la sua permanenza sfogò così il suo estro creativo.

Stiamo per giungere al termine di questo breve viaggio, in cui mi sono limitata a registrare ciò che più mi ha colpita. La stanza successiva non è una cripta ma una cappella. Non vi sono ossa ma un altare usato per le celebrazioni funebri. Su una delle pareti, una placca registra la presenza del cuore di Maria Felice Peretti, devota dell’ordine.

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L’ultimo passaggio – il primo secondo il vecchio percorso – è, coerentemente, la cripta della resurrezione, dove una serie di ossa incornicia naturalmente un dipinto in cui Cristo ordina a Lazzaro di alzarsi, di risvegliarsi dal sonno. Perché nell’ottica cappuccina il sonno non è eterno.

Usciamo da questa immersione nel ventre di Roma con una strana sensazione addosso. Quello che abbiamo visto è un luogo che inghiotte, rapisce, impone il silenzio quale che sia il credo di chi lo guarda. È un luogo prezioso e bellissimo. Che lascia ammirati davanti alla pazienza di chi lo ha realizzato. L’audioguida a un certo punto parla di gioia. Io no, gioia non l’ho provata e neanche ho avvertito un senso di consolazione. Ma ammirazione sì, stupore anche e poi sorpresa: i ricami di ossa sono una follia estetica. Un qualcosa che ti costringe a catturare i dettagli, a chiederti come ha fatto, chi lo ha fatto, e poi perché. Potrai darti molte risposte, nessuna di esse probabilmente vera. E poi riprenderai a guardare, per catturare ogni dettaglio e qualcosa che si avvicini all’insieme.

di Silvia Ceriani

Info:
Il museo e la cripta sono aperti tutti i giorni dalle 9 alle 19, tranne il 25 dicembre, il 1° gennaio e a Pasqua.
Il biglietto costa 8,50 euro.
I gruppi di oltre 10 persone devono prenotarsi con 15 giorni di anticipo telefonando al 0688803695.
Più info le trovate cliccando qui.

Un bel volume, che parla dei Cappuccini di Via Veneto e di altri due luoghi magnifici è Mors Pretiosa, a cura di Bizzarro Bazar, Logos, 2015

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