È la sera del 17 marzo, il tassista ha l’aria arresa, guarda sconsolato il traffico del lungotevere. “Che famo dotto’?”, mi chiede osservandomi dallo specchietto. Mi metto a ridere, anche se il pensiero del suo lavoro mi fa psichicamente male all’anima. Un uomo deve farsi portare via tre quarti della propria vita da una vettura bianca e centomila sconosciuti come me, con i quali è costretto a condividere discussioni di bassa lega. Lo trovo profondamente ingiusto. Guardo fuori dal finestrino, una miriade di stranieri in vacanza attraversa la strada sulle strisce pedonali, osservano la coda di macchine incastrate e immobili con aria divertita. Sembra che ai loro occhi questo sia lo spettacolo più folle del mondo. Il tassista ha abbassato il vetro, lascia ciondolare la mano fuori dal finestrino. È un tipo sulla sessantina, deve avere due figli grandi, sposati, uno commerciante di frutta, l’altro disoccupato cronico. Da tempo cerca la raccomandazione giusta per sistemarli entrambi, per sottrarli all’ingorgo ben più doloroso che assedia questa società. È una vita che non fa più sciocchezze con le ragazze, però le guarda ancora tutte, come se rispondesse a un obbligo antropologico. Sua moglie non c’è più, è sicuro. Quest’uomo di cui arrivo a vedere un profilo tagliato dalle luci oblique della sera dorme solo, nel vecchio letto matrimoniale che ha comprato a rate, subito dopo il matrimonio celebrato negli anni Settanta, come il resto dei mobili di casa, che non ha cambiato mai. Sua moglie se n’è andata da qualche anno, un cancro al colon, o qualcosa del genere. La sua adesso è un’esistenza sicura. Qualcosa dice in lui: tira dritto, tre quarti della strada li hai già fatti, ora pensa a garantirti questa vecchiaia in santa pace, ancora qualche vizio, ancora due chiacchiere con gli amici di sempre, che amici, in realtà, non lo sono stati mai. Condivido con lui lo spazio che ci è concesso in questo ingorgo, torno da una serata in cui si è discusso di poesia. C’era tanta gente, un ingorgo pure lì, e una signora con un cappotto rosso che continuava a ripetere che il suo era un “vero cappotto comunista”. Ora l’odore di Roma si mischia ai pensieri che mi si affollano nella mente. Il tassista è l’unico stasera che si sia accorto della mia presenza al mondo. In un’altra dimensione, in un altro tempo, questo sarebbe un motivo di per sé valido per essergli grato fino alla fine dei giorni.
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