Alle otto in punto del giorno di Natale la cittadella comandata dal capitano Kikero era in mano ai nemici. Inosservati e silenziosi, intabarrati nei loro lunghi cappotti di pelo avevano passato il ponte, divelto le transenne, sfondato l’alto portone e catturato uno a uno tutti i soldati della guarnigione. La legione nemica era comandata dal capitano Qvass, un accorto stratega con il vizio della tortura psicologica. I suoi festeggiamenti durarano poco. Acquavitae e donnine lo stancarono subito. C’era una guerra da combattere. Una città lontana da conquistare e uno stato da invadere. La facilità con cui erano entrati lo aveva sorpreso. Mantenere in vita quel centinaio di idioti, pensò, era un impensabile spreco di risorse e un oltraggio all’onore militare. Qvass scese in cortile, ordinò di sistemare una specie di scanno e, dopo averli fatti perquisire e spogliare, i prigionieri furono portati al suo cospetto. Infreddoliti e spaventati in quel momento parevano tutti uguali. Ufficiali e soldati semplici avevano la stessa paura, lo stesso freddo, la stessa fame. Qvass ordinò ad una delle guardie di portargli un prigioniero.
- Se mi dirai cosa ho sognato stanotte avrai salva la vita. – disse il capitano.
Il soldato non aveva capito una parola e rispose soltanto: – Ho freddo, vi prego.
Qvass levò una mano e la guardia sparò per uccidere.
Il freddo di quella giornata divenne storia. I prigionieri che stavano tremando si immobilizzarono. Le bocche si seccarono. Qualcuno se la fece addosso, con un leggero inutile sollievo. Qvass diede l’ordine di nuovo. Questa volta la guardia dovette farsi aiutare. Nessuno poteva sapere cosa avesse sognato quel bastardo.
- E’ molto semplice, hai capito benissimo – disse Qvass al secondo prigioniero – se sei in grado di raccontarmi il sogno che ho fatto stanotte avrai salva la vita. Mi vedi? Sono un uomo semplice, non sono capace di grandi sogni.
Il soldato lo guardò come si guarda il proprio boia.
- Hai sognato la tua casa? – domandò.
Qvass lo guardò con stupore, strinse le labbra in segno di ammirazione. – No. – disse. Un altro sparo risuonò terribile nel cortile.
Il terzo prigioniero avanzò con un certo rispettabile decoro. Tradito dal freddo avrebbe voluto gonfiare il petto in segno di sfida, ma non riusciva a staccare le braccia dal corpo. Il portamento fiero tuttavia era palesemente ostentato.
- Sono il capitano Kikero! – disse con voce alta e ferma.
Mentre Qvass piegava di lato la testa come un cane raggiunto da uno strano suono, il soldato semplice Kurtz, ancora libero in cima alla torre, si affacciò dal parapetto e gridò: – Fermi tutti.
Prigionieri e carcerieri alzarono la testa verso la voce e in quel momento prese a piovere. Le gocce erano grosse come sputi.
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