foto da La Repubblica
I presupposti purtroppo ci sono tutti. In Egitto, a partire dal 14 aprile, è in corso una guerra civile, sanguinosa, i cui sviluppi sono, per ora, ancora densi di incognite e ricchi di interrogativi.Una rapida occhiata alla storia ed è facile trovare simili situazioni che rapidamente hanno condotto paesi, prima solidi e sotto alcuni aspetti "inattaccabili", in teatri di guerra dove violenza e devastazione hanno trasformato, per sempre, l'esistenza di milioni di individui.Gli storici e gli osservatori, nonchè i protagonisti, dibatteranno a lungo su come un paese come il Libano, un tempo la "Svizzera del Medio-Oriente", si sia trasformato in pochi giorni in uno dei luogo infrequentabili del pianeta. O su come la Liberia, patria degli schiavi liberati, sia sprofondata in pochi mesi nella più assoluta follia, o su come la Somalia, luogo di antica civiltà, sia diventato un paese dove, a distanza di oltre 20 anni, non esiste un governo degno di questo nome.Ma la lista potrebbe proseguire a lungo: la Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda, l'Afghanistan, la ex-Jugoslavia, la Siria e la Libia, tanto per citare solo alcune delle guerre civili che hanno devastato (e devastano) il nostro pianeta.
Certo, situazioni apparentemente ben diverse tra loro.
Gli ingredienti (e quindi le analogie) in Egitto ci sono tutti. Una lunga storia di dittatura (più o meno morbida), dove le opposizioni erano represse e contenute, una manifesta insofferenza delle giovani generazioni, un esercito forte (molto), l'assenza di strutture democratiche e costituzionali solide, un recente colpo di stato, la presenza di gruppi politici estremisti, diversità religiose che spesso sono sfociate in scontri, una struttura economica basata su poche ma grandi poste (turismo e canale di Suez) e una collocazione in un'area geopolitica in grande fermento.
Quello che si legge in questi giorni sui media italiani porta a concludere (come spesso accade in quelle aree geografiche) che si tratti di un tentativo dell'estremismo islamico di trasformare il paese in un "antico califfato", mentre l'esercito, acclamato dal popolo, tenta una difesa estrema.
Ma è proprio così?
Mettiamo alcuni paletti, senza la pretesa di fare un'analisi approfondita, ne tantomeno di essere capaci di rendere chiaro tutto. Con una doverosa premessa: fino a prima del 2011 nessuno (dico nessuno) degli analisti pensava che nel Nord-Africa potesse avvenire quello che impropriamente è stata definita "la primavera araba".
- in Egitto vi è stato, il 3 luglio scorso (2013) un colpo di stato, condotto dall'esercito contro un Presidente legittimamente eletto;
- l'esercito che oggi, secondo molti, tenta di evitare la deriva islamista, è lo stesso che dal 1952 guida l'Egitto, che ha di fatto guidato la transizione dopo la cacciata del "suo" Mubarak, che ha fatto parte del governo dei Fratelli Mussulmani e che detiene la maggioranza del potere economico del Paese;
- i Fratelli Mussulmani, organizzazione politica-religiosa (prima o poi qualcuno impererà che nell'islam la distinzione tra le due cose è praticamente inesistente) nata nel 1929 in chiave anti-coloniale, repressa per molti anni, ha vinto le elezioni (le prime democratiche) del 2012;
- sicuramente l'anno di governo "dei Fratelli Mussulmani" non ha portato in termini di economia e "di vita reale" i benefici (forse impossibili) che molti si aspettavano;
- la società civile egiziana è lacerata e spaccata. Non tutti i mussulmani stanno contro l'esercito e non tutti i laici sono con l'esercito. Molti dei protagonisti della cacciata di Mubarak nel 2011 sono oggi a fianco dell'esercito e della polizia che allora li colpirono pesantemente (vicino al migliaio i morti del 2011). Non dimentichiamo (se ne parla poco) che esiste anche "una terza piazza", composta da quelli che non stanno con l'esercito e nemmeno con i Fratelli Mussulmani;
- le dimissioni (da vice-presidente provvisorio) di un uomo carismatico come El Baradei (da noi liquidate con troppa semplicità) all'inizio della repressione dell'esercito, deve far riflettere, molto;
- le reazioni (timide) internazionali devono indurci a pensare che nello scacchiere egiziano (purtroppo per gli egiziani) si giocano partite più importanti e sicuramente meno nobili;
- le campagne di informazione "taroccate" sono già partite, diffidate da chi ha capito tutto.
Quel che è certo, e che le violenze partite dal 14 agosto, hanno già disseminato odio e vendette (le guerre civili si sviluppano proprio da questi sentimenti). Nessuno è più sicuro e forse non lo sarà per molto. La repressione contro i Fratelli Mussulmani ha già fatto scattare la solidarietà del mondo arabo (di contro il generale Al Sisi, che guida l'esercito, è elogiato in Israele) e sicuramente (purtroppo) scatenerà i gruppi estremisti islamici di tutto il mondo.
Il timore (che sempre più rasenta l'alta probabilità) di una guerra civile egiziana lunga, rischia di far precipitare non solo l'Egitto (l'economia del turismo, in piena stagione, è ferma), in un baratro ancora più profondo.
Vi lascio questa emozionante testimonianza della blogger Yasmine nel suo "Diario della Rivoluzione Egiziana", leggetelo, e soprattutto seguite il suo Blog e altre "fonti diverse", perchè la verità non è proprio come ve la raccontano.