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Le mosse politiche di Barak Obama in questi ultimi mesi sono tutte finalizzate alla rielezioni e sopratutto a non deludere quella parte molto importante dell’elettorato Usa che favorì la sua elezione nel 2009. Stiamo parlando della frazione ebraica americana, quello molto vicina agli interessi israeliani, molto importante ed influente con infinite ramificazioni in tutti i settori chiave dell’economia, della finanza e del governo americano, sia nella fazione repubblicana che in quella democratica.
Nel fatti di tutti i giorni, le mosse prese da Obama alle richieste israeliane di fare la guerra all’Iran, dimostrano che il presidente americano si trova tra l’incudine ed il martello: da un lato quelli che vorrebbero la cancellazione dell’Iran con un attacco rapido, immediato e definitivo e dall’altro quelli che invece, pur concordi per la soluzione militare, preferirebbero percorrere la linea delle sanzioni e della diplomazia per arrivare ad un risultato vincente. Due fazioni appartenenti alla stessa radice ebraica-sionista che spesso si confondono.
Il caos regna sovrano, sarebbe il caso di dire, ed è proprio in questo caos che Israele non perde minuto per bacchettare la politica estera di Obama, per i suoi tentennamenti e la sua prudenza. Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak affermava “Oggi, a differenza del passato, si è diffusa convinzione internazionale che è di vitale importanza impedire all’Iran di diventare ‘nucleare‘”, è ovvio che la convinzione internazionale al quale si riferisce Barak, è quella anglo-americana e dei suoi alleati europei come Francia ed Inghilterra.
Convinzione però che non convince né la Cina, né la Russia e tanto meno l’India. Nazioni queste che contano, messe assieme, una massa di individui pari a circa 3 miliardi (42% della popolazione mondiale) , ma come è abitudine degli israeliani “nelle scelte da attuare qualsiasi opzione non deve essere scartata”, perché se le sanzioni dovessero fallire, e falliranno a causa dei veti imposti da Cina e Russia e India, “l’unica strada percorribile dovrà essere quella militare”. Dichiarazioni fatte (guarda caso) poco dopo un viaggio compiuto dal capo dei servizi israeliani Tamir Pardo in Usa per discutere dei programmi nucleari dell’Iran con alti funzionari militari americani.
Adesso anche gli americani pensano ad una eventuale probabilità che Israele possa sferrare un attacco tra la primavera e l’inizio dell’estate tanto che “Panetta ritiene che ci sia la forte possibilità che Israele colpisca l’Iran ad aprile, maggio o giugno – prima che l’Iran entri in quella che gli israeliani descrivono come una ‘zona di immunità’ per iniziare a costruire una bomba nucleare“. In America si stanno infatti portando avanti misure di sicurezza militaristiche come la nuova legislazione contro gli stessi cittadini americani e il controllo dei luoghi di culto islamico come le moschee, probabilmente come prevenzione agli atti di ribellione che la popolazione americana potrebbe attuare per l’eventuale intervento in Iran.
Nel contempo, mentre i creduloni festeggiano l’abbandono delle forze Usa dall’Iraq, in silenzio sono state ammassati oltre 50.000 truppe nell’isola di Socotra e Masirah nel golfo di Oman a poche miglia dallo stretto di Hormuz, in attesa di un rinforzo di altre 50.000 previste per marzo che stazioneranno nel Kuwait.
E come non bastasse per marzo è previsto l’arrivo della Enterprise, accompagnata da due navi della Marina USA, il sottomarino nucleare USS Annapolis ed il cacciatorpediniere USS Momsen, entrati nel Mar Rosso attraverso il Canale di Suez. La Lincoln e la Vinson sono già dislocate nell’area del Golfo di Oman e del Golfo Persico. Quello che appare comunque strano è la presenza della Lincoln, portaerei vecchia ormai destinata ad essere smembrata tanto che a marzo ed aprile è previsto il suo ritorno in patria per il suo disarmo.