E del resto uno studio svolto nell’ambito della London school of economics, si mostra come nella prima guerra mondiale solo il 10% delle vittime furono civili, nella seconda, escludendo i campi di sterminio, le vittime collaterali salirono al 50% e oggi sono oltre l’ 80%.
Tutto questo a Gaza assume il carattere di emblema e le bombe infliggono danni all’ipocrisia in cui viviamo. Intanto in territorio con un milione e ottocentomila abitanti su 360 chilometri quadrati, ossia con una densità di popolazione superiore a quella di Roma, è assolutamente impensabile una guerra pulita che oltre tutto ottemperi al diritto internazionale che vorrebbe i beni civili al riparo da distruzioni. In un’area simile non esiste missile o proiettile intelligente che tenga o precauzione umanitaria reale o di semplice fantasia che possa servire: un attacco di questo genere prevede già da subito che i danni collaterali siano molto superiori a quelli che si vorrebbero infliggere all’avversario armato.
Dunque gli oltre 1100 morti pesano completamente sul governo reazionario di Tel Aviv, senza possibilità di scuse pretestuose. Del resto l’obiettivo di questo come di altri raid è esattamente quello di rendere impossibile la vita della popolazione della striscia e indurle a una diaspora per non dover vivere in una continua angoscia del futuro . “Falciare l’erba alta di Hamas” ha precisamente questo significato anche perché se volesse intendere solo la distruzione dei tunnel si tratterebbe di un’operazione assai più indolore e circoscritta: Israele ha tutti i mezzi tecnologici e d’intelligence per individuarli e probabilmente potrebbe “vederli” e distruggerli man mano che vengono realizzati, se non fosse che la sindrome dell’assedio e qualche dramma ogni tanto è molto conveniente per l’attuale sistema politico israeliano e tutta la galassia consustanziale dei gruppi religiosi integralisti che possono rimanere incontrastati al potere e addebitare sui figli e i nipoti il rendiconto della situazione che si sta perpetuando. Qualcosa che conosciamo bene anche se in un altro contesto. Il perimetro da sorvegliare è peraltro di qualche decina di chilometri, non si tratta certo di una impresa titanica oltre al fatto che la distruzione degli attuali camminamenti non significa che altri non possano essere costruiti in futuro .
Insistere negli attacchi e negli embarghi significa che prima o poi chi può si allontanerà spontaneamente e qualcuno volontariamente, per interessi interni o su pressione esterna aprirà le frontiere ai gazesi e li accoglierà come profughi. La vera guerra che Israele sta combattendo non è contro Hamas è contro la demografia che lavora a sfavore di uno stato che ancora non scorge nella pace l’unica via verso il futuro: la popolazione araba all’interno dello stato aumenta costantemente ed è ormai al 20% nonostante l’apartheid di fatto cui è sottoposta, la striscia di Gaza ha un quarto della popolazione dello stato ebraico per non parlare degli altri vicini: come è sempre accaduto fin da quando esistono documentazioni al riguardo, le aree ricche e le classi dominanti tendono in tempi medio lunghi alla contrazione demografica, mentre quelle più povere tendono sempre a un bilancio positivo. In questo quadro sono proprio le vittime collaterali che contano: esse rafforzano Hamas, ma indeboliscono Gaza e il nucleo di uno stato palesinese che essa rappresenta.
Così non può certo stupire che l’occidente sia sempre così tardivo, tiepido, inconcludente, ambiguo nel tentare di sedare o fingere di la guerra endemica israelo palestinese e i suoi tragici accessi febbrili: non solo essa è funzionale agli scontri globali e alle guerre del petrolio, ma in qualche modo è un condensato della situazione storico – psicologica che esso stesso sta vivendo nel momento in cui è “invaso” dalle popolazioni che ha in qualche modo sfruttato non consentendone un progresso in loco e dopo aver perso l’assoluta preminenza tecnologica che ha avuto per più di due secoli, si sente circondato ed è sempre più tentato di dare l’unica risposta nella quale ha ancora un margine di superiorità, se non altro verso i soggetti più deboli, ossia quella militare. Di qui la difficoltà a condannare chi nel piccolo teatro di quella che era la provincia di Iudaea o Palestina sotto l’impero romano, fa ciò che è nel retropensiero del nuovo impero americano con le sue provincie europee come appendice. Ucraina docet. Paradossalmente sfrutta i sensi di colpa che ha nei confronti del popolo ebraico per rendere attiva una nuova cattiva coscienza che lo rappresenta pienamente. A tal punto che spesso l’appoggio alla causa palestinese scivola quasi naturalmente nel tradizionale solco dell’antisemitismo più sordido e ipocrita, mentre la difesa della democrazia di Israele, peraltro deturpata, deviata e resa poco più che formale dallo stato di guerra come le nostre dallo stato di crisi, provocato dal liberismo selvaggio, non è che un paravento per pulsioni inconfessabili.