Ieri mattina a Roma c’è stata la protesta dei giornalisti precari davanti la sede del sindacato Fnsi. Reo, quest’ultimo, di avere firmato l’accordo sull’equo compenso. 120 milioni di euro dal governo per i prepensionamenti a fronte di un compenso minimo di 20 euro a pezzo per i precari. Ma i fatti di ieri mattina sono importanti per il lavoro in generale. Perché ignorarli significa chiudere gli occhi davanti al conflitto di questa epoca.
La protesta dei giornalisti precari è stata accesa, con una irruzione dentro la sede. Mentre sindacato e governo rispondono che non si tratta di equo compenso ma compenso minimo, che 20 euro è meglio di 5 euro, che è un primo passo. “Non è un salario mensile, ma un compenso per 12 articoli pubblicati in un mese”, ha precisato Franco Siddi, segretario Fnsi, di cui su twitter si chiedevano le dimissioni. E l’hashtag #StopFnsi è diventato TT per diverse ore.
Di questo scontro, tra sindacato e giornalisti precari sull’equo compenso, si scrive poco, e potete immaginare perché. Ma è un grave errore. Perché la dinamica di questo scontro è davvero importante nel contesto della disoccupazione giovanile, e della precarietà. Da una parte abbiamo un governo che assieme a un sindacato (unico) firma un accordo dove la discrepanza fra “garantiti” e “precari” è notevole, 120 milioni contro 250 euro. E da qui a ristabilire la dicotomia “vecchi contro giovani”, il passo è breve (in questo caso meno fuori luogo che altrove).
Con una totale assenza di mediazione fra le due parti, con sindacato e governo che si mostrano indisposti – se non apertamente ostili – verso le istanze presentate dai manifestanti. Un abisso a definire i rapporti fra le parti, che a pensarci è roba da ’800. Un governo che – vi piaccia o no – ha dalla sua l’appoggio della quasi totalità dei mezzi di comunicazione e giornali. Un sindacato unico. Dall’altra tanti, tantissimi giovani precari senza tessera sindacale, contratto, soldi, tutele, nulla.
Ora, se volete tutto questo possiamo ignorarlo. Ma è il medesimo quadro di tanti altri mondi che formano il cosiddetto “precariato”. E che in una maniera o l’altra ci coinvolge tutti: avvocati, medici, ingegneri, callcenteristi, operai, tecnici, impiegati, commessi. Ignorare i fatti di questi giorni, quindi, significa chiudere gli occhi di fronte a quello che accade nel nostro paese ogni giorno. E 4 mesi di governo Renzi, mi spiace, non possono avere cambiato tutto questo.
Non capire la reale gravità di quanto accaduto con l’equo compenso, e di questo scontro tra establishment e precari, significa non conoscere la reale situazione dei giovani d’oggi. Che l’Istat fotografa ogni mese, col tasso del 43.3% di disoccupazione giovanile. E allora ci pensiamo noi: parte oggi la nuova campagna de L’isola dei cassintegrati “TI VENDI BENE TU”, per raccontare come si vendono i giovani nel mercato del lavoro nell’Italia odierna. Avvocati a stage, licenziati con meno di 25 anni, determinati rinnovati ogni 3 mesi, chi lavora gratis, e chi non conta più i master e gli stage conseguiti.
Ti vendi bene tu, che prendi 500 euro al mese per lavorare 12 ore al giorno?
Ti vendi bene tu, che a 35 anni hai dovuto chiedere un prestito ai tuoi genitori?
Ti vendi bene tu, che sei al terzo master e ancora non trovi lavoro?
Ti vendi bene tu, all’ennesimo rinnovo del determinato?
Ti vendi bene tu, che sei finito a lavorare gratis?
di Michele Azzu