Il mondo islamico è scosso recentemente da rivoluzioni, guerre civili e scontri armati, una vera e propria guerra interna, dove però sono diverse le parti in gioco e dove la situazione è talmente fluida che i fronti e le alleanze possono mutare anche improvvisamente. Prima di analizzare la situazione odierna, diamo una sintetica e semplice panoramica che mostra i principali contendenti in questo grande scontro di potere iniziato dal 2011.
Militari: le forze armate tendono ad essere laiche e guardano con cautela e anche con ostilità i governi formati da partiti islamici come Tunisia, Libia, Egitto e Turchia. Difatti sono stati i protagonisti del golpe contro gli islamisti egiziani guidati da Morsi.
Partiti laici: i partiti laici sono stati tra i protagonisti della Primavera Araba ma non hanno avuto nessun ruolo fino ad ora nella formazione dei nuovi governi. Sono probabilmente finanziati e aiutati dai paesi occidentali.
Salafiti: sono l’ala più estrema dell’islamismo politico e sono spesso associati al terrorismo ed ad Al-Qaeda. In Egitto stanno assumendo un ruolo di primo piano, come nel conflitto siriano; sono finanziati dalle monarchie conservatrici dell’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Sono invisi all’Occidente.
Fratellanza Musulmana e partiti islamici moderati: sono l’islamismo moderato, cercano di creare uno stato che si richiami alla Sharia, la legge islamica, ma non possono essere considerati estremisti come i Salafiti. Al potere in Egitto, in Tunisia, in Libia e in Turchia sono stati gli assoluti protagonisti della Primavera Araba del 2011. Il recente colpo di stato in Egitto ha però fortemente ridimensionato il loro potere e ora stanno lottando per riprenderselo. Nonostante fossero islamisti, furono appoggiati dagli Stati Uniti. I loro principali sostenitori sono il Qatar e la Turchia.
Sciiti: è l’ala minoritaria dell’Islam (l’ala maggioritaria sono i sunniti), essa è rappresentata politicamente dal regime siriano dell’Alawita Assad e dalla Repubblica Islamica Iraniana, ma anche dalla minoranze degli sciiti iracheni, sauditi e yemeniti, nonchè dagli Hezbollah libanesi. Essi sono un asse abbastanza compatto nel mondo islamico, hanno come appoggio esterno quello della Russia e dalla Cina e sono fortemente invisi all’Occidente.
Tamarrud e Occupy Gezi Park: movimenti di protesta spontanea e diffusi con i social network, senza una linea politica definita. Unico obiettivo: far cadere il governo in carica. Finanziatori e posizione politica incerta.
Fatta questa semplice panoramica delle principali correnti dell’Islam politico (ovviamente lo scenario è molto più complesso e variegato), passiamo ad analizzare la mutevole situazione che si è aperta recentemente in questa seconda fase della Primavera Araba.
Nelle rivolte del 2011 che hanno spazzato via i governi di Libia, Tunisia ed Egitto e hanno portato alla guerra civile in Siria, gli islamisti moderati e i salafiti hanno combattuto come alleati, però sono stati i partiti islamici moderati finanziati dal Qatar e dalla Turchia a prendere le principali posizioni di comando, con l’avallo degli USA che li preferivano ai Salafiti. Questa situazione ha portato la Turchia ad ambire al ruolo di principale potenza regionale e il Qatar ad assurgere al ruolo di leader del nuovo mondo arabo post-Primavera, grazie ai suoi finanziamenti e all’emittente televisiva Al Jazeera. Tutto questo sicuramente non è molto piaciuto all’Arabia Saudita, storico rivale del Qatar ma anch’essa alleata degli USA. Quindi nei mesi scorsi la situazione è drasticamente mutata con l’inizio delle forti rivolte in Turchia e con l’abdicazione dell’Emiro del Qatar in favore di suo figlio e soprattutto, con la rimozione del primo ministro, artefice della politica estera del Qatar. Quindi probabilmente erano vere le voce di possibili golpe in Qatar l’anno scorso e possiamo presumere che dietro ci fosse il potente rivale saudita. Idem per la Turchia, che ha da subito parlato di complotto straniero dietro le rivolte (nel caso turco potrebbe esserci anche lo zampino dell’Occidente). Questi capovolgimenti hanno portato ulteriori colpi di scena, che sono la sostituzione del capo dei ribelli siriani con un uomo dei sauditi e il recente colpo di stato in Egitto, che ha portato al potere i militari laici, ma attualmente i Salafiti stanno avendo un ruolo di prima piano nelle scelte del presidente ad interim, cosa confermata dagli enormi finanziamenti che stanno giungendo dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi al governo golpista egiziano.
Ora la situazione egiziana è abbastanza paradossale; abbiamo quindi il governo dei militari appoggiato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati, ma che ha avuto anche il riconoscimento da parte del regime siriano di Assad e dalla Repubblica Islamica Iraniana. Al tempo stesso la Tunisia non riconosce il golpe ed è in aperta rottura con l’Egitto, come anche la Turchia che ha fortemente condannato il colpo di stato e addirittura una procura turca ha aperto un’indagine contro il golpe stesso definendolo un crimine contro l’umanità e perseguibile ovunque. Sarà interessante vedere, se si dovesse giungere ad una condanna del capo di stato maggiore egiziano, chi andrà ad arrestarlo dalla Turchia o se questo porterà il premier turco Erdogan ad un intervento militare.
A tutto questo caos c’è da aggiungere la posizione dell’Occidente che è sempre stata di cautela nei confronti del nuovo governo egiziano e ieri sia gli USA e sia la Germania hanno chiesto la liberazione di Morsi, una richiesta che dimostra una certa ostilità occidentale al governo dei militari e anche una certa ostilità alla politica estera dell’Arabia Saudita. Inoltre, è da monitorare il movimento Tamarrud, artefice delle rivolte anti-Morsi, che sembra inizi a mostrare segni di insofferenza nei confronti dei militari e se la crisi economica in Egitto continuasse questo potrebbe ribellarsi (magari con l’appoggio USA) anche contro gli stessi golpisti. Nel frattempo gli USA spostano navi da guerra verso l’Egitto, forse in previsione di un possibile intervento in difesa del canale di Suez, nel caso la situazione dovesse precipitare.
Quindi, dopo il ridimensionamento del Qatar con l’abdicazione del vecchio emiro, l’Islam si trova a combattere una guerra per l’egemonia politica tra la Turchia e l’Arabia Saudita, senza però dimenticare Siria ed Iran. E’ importante monitorare le mosse degli USA e la situazione politica in Tunisia e Turchia che potrebbe produrre una situazione analoga a quella egiziana.
In conclusione il mondo islamico è alla resa dei conti e l’Egitto è il campo di battaglia.
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