Magazine Diario personale

La lavatrice dell’ultimo minuto #cosecheodio

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

Gestire da sola un appartamento piccolo come il mio può sembrare facile. Di fatto lo è. Trenta metri quadri si puliscono in meno di un'ora, il lavaggio piatti richiede dieci minuti, le bollette della luce potrebbero essere più basse ma va beh - ormai mi sono rassegnata al fatto che in Catalogna l'elettricità si vende come se fosse merce rara importata dal Burundi.

Tutto il resto è ordinaria amministrazione, ovvero lascio che tutto si accumuli in attesa di riuscire a svuotare il cesto dei panni sporchi con la forza del pensiero e sfruttare il potere autorigenerante delle mutande nel cassetto. Solo quando mi rendo conto che sono a livello mutande +1 (l'unico paio rimasto) e il cesto dei panni mi parla durante la notte, mi attivo sul fronte lavatrice.

Il che vuol dire che ne faccio 2 o 3 di fila, e che naturalmente nel giro di 20 minuti il cielo si rabbuierà e inizierà a sentirsi un tuoneggiare in lontananza. Ecco anche questo pomeriggio ripetersi il cliché della mia vita di casalinga indipendente. Ci penso mentre cerco di fare spazio fra i 4 fili per stendere con cui mi trovo a litigare ogni settimana, mentre l'ennesima molletta cade nel balcone della signora di sotto.

La lavatrice di per se non ha colpe: infilare i panni sporchi nel cestello, dosare il detergente e l'ammorbidente, scegliere il programma più adatto, sono cose che faccio con destrezza e soddisfazione.

Quello che mi fa venire voglia di piangere è stendere i panni.

Io odio stendere i panni, è più forte di me.

Odio vedere l'accumulo di lenzuola bagnate, calzini spaiati ( ma perché? dove vanno? c'erano tutti prima di iniziare il lavaggio!) e arcobaleni di indumenti intimi che mi aspettano appallottolati. Sono lì che mi sfidano e sogghignano: vediamo come riesci ad aggiustarci oggi, scommettiamo che non ti basterà lo spazio manco stavolta, buahuahaua.

La lavatrice dell’ultimo minuto #cosecheodio

Le mutande iniziano a piangere, perché sanno che anche stavolta una di loro dovrà lasciare la casa. Verrà eliminata, a malincuore e per il solito futile motivo: scivoleranno via mentre le aggancio al filo. Alcune di loro tornano, quando hanno la fortuna di cadere nel balcone in cui si accumulano anche le mollette di cui sopra. Altre spariranno per sempre, inghiottite dall'asfalto o rubate dal primo pervertito di passaggio.

Potete immaginare che in trenta metri quadri, uno stanzino per il bucato non sia compatibile con la vita. La mia unica opzione è dunque stendere i panni nel mio mini balcone, sì quello tanto carino che dà sul mare ma che porcaccia la miseria mi costringe alla creatività assoluta all'ora dell'organizzazione bucato.

Soprattutto con l'arrivo del freddo: perché i maglioni bagnati occupano così tanto spazio? Perché la loro invadenza mi costringe a vestire da fantasma la mia scatola di fiammiferi, che nemmeno nella notte de Is Animeddas?

Lenzuola appese agli stipiti alti delle porte, calzini allineati in trincea nella spalliera, mutande appese alle maniglie, cuffie (cuffie! di già!) che sono uscite sconfitte dalla centrifuga e rimangono abbandonate in attesa che asciughino, anche loro.

Insomma, domani ho di nuovo una valigia da chiudere e ho bisogno di intimo asciutto da infilarci dentro. Prevedo shopping al primo negozio che troverò in aeroporto.

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