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La Lega agonica di Collegno

Creato il 12 marzo 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti


La Lega agonica di Collegno. E Bossi fa lo smemorato.Fa lo smemorato Umberto Bossi a Collegno, ma non incarna né BruneriCannella, semplicemente Totò. La Lega si sta sfaldando sotto i colpi della Storia che ne ha dimostrato la pochezza strutturale, la nullità ideologica, il pressappochismo politico insomma, un ectoplasma. Il miracolo è finito per l’allievo della Scuola Radio Elettra Umberto Bossi, per Roberto Castelli l’insonne di Lecco, per Roberto Calderoli la Cita bergamasca, per Roberto Maroni il tastierista di Varese e per gli ammennicoli vari che rispondono al nome di Mario Borghezio, fondatore del KKK Sezione Padania, di Francesco Speroni, il cavaliere della Porsche, di Erminio Boso l’ultranazionalista padano alla Le Pen, dell’ultrà e basta Matteo Salvini e dei tre enfant prodige che rispondono al nome di Roberto Cota, Luca Zaia e Flavio Tosi. Il movimento, insomma, si è ridotto a una fermata fissa al capolinea di un’Italia che non li sopporta più e che sta cercando di capire il motivo per il quale un manipolo di imbelli è riuscito a tenere sotto scacco un’intera nazione per 15 lunghissimi anni. E a Collegno, Bossi ha rispolverato il suo già scarso armamentario ideologico, come se non fossero 25 anni che lui viaggia ininterrottamente fra Bergamo e Roma, come se non avesse fatto parte anche lui dell’apparato romano centrico, come se il governare fosse stato un optional e non un magna magna colossale del quale ha approfittato spudoratamente per anni: “La Padania si farà a tutti i costi – ha tuonato il Senatur dal palco di Collegno – siamo stanchi del vecchio centralismo romano. Se non ce ne liberiamo, siamo destinati a finire male”. Che le venga un bene, Senatur! Ha approfittato del centralismo romano per costruire il suo impero di carta, per investire in Tanzania soldi degli italiani, per sfamare una frotta di incapaci chiamata “cerchio magico”, per aprire ministeri fantasma al Nord, per farci ridere dietro da tutta Europa con la politica dei respingimenti in mare, per le profezie sinistre sull’invasione dell’Italia dei libici in guerra e ora ripudia il centralismo romano facendo capire che lei è una volpe sì, ma quella della favola di Esopo. “Berlusconi mi fa pena – è stato il leit motiv del suo discorso – va a votare il contrario di quello che faceva. Per questo non è possibile fare un accordo per le amministrative”. E poi sul governo del Professore: “Monti è un dramma, risponde solo alle richieste dell’Europa e delle banche. È il rappresentante in Italia di quella banca americana che ha innescato la crisi mondiale”. Che le parole di Bossi siano vere è un dato di fatto, quello che però stona, è che escano da una bocca che, da Patelli (ricordate la maxitangente Enimont?) a Boni non si può dire puzzi ancora di latte. A Collegno, Bossi ha cercato in tutti i modi di riappropriarsi di un partito che non esiste più, destinato a parcellizzarsi in mille listarelle locali, ad avere uno, nessuno e centomila leader e al quale in molti hanno già iniziato a voltare le spalle. È il caso di Flavio Tosi sindaco di Verona, il quale ha fatto capire senza mezzi termini che alle prossime amministrative intende presentarsi con una lista civica. “Se lo facesse – ha ringhiato il mandante del prossimo omicidio Monti – sarebbe espulso dalla Lega”. Insomma, vicino al Senatur è rimasto solo il fido Trota. Incapace di intendere, di volere e di far di conto, il figlio sui generis di Umberto Bossi è l’unico che ancora lo sorregga (letteralmente) per impedirgli di cadere a terra e di essere sommerso da una nuvola di polvere. Ma tanto accadrà visto che si parla di branchie e non di polmoni.


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