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La Lega però sul "pantheon" era stata più simpatica

Creato il 30 novembre 2013 da Danemblog @danemblog
L'ultima volta, poco più di anno fa, la lista di nomi del pantheon dei candidati alle primarie - senza necessità di aggiungere "Pd" o "centrosinistra", tanto sono le uniche che si fanno -, fece da germinale per un'ottima battuta di Maurizio Crozza: «Neanche a Miss Italia danno delle risposte così».
Stavolta meglio, niente colpi di scena - nel gusto del brodo che ha fatto da condimento a tutto il confronto. Renzi e Civati originali a metà: per loro, nel pantheon - che Renzi ha fatto bene a definire «le foto che mi porto nella stanza di segretario», anche un po' per uscire dalla noia dell'ormai stereotipo - ci sono Meme Auzzi e Maria Carmela Lanzetta. Non personaggi mainstream, sufficientemente ricercati, recuperati tra le cronache. Il primo è l'ex sindaco di Incisa morto per infarto nel 2006, rappresentate serio e passionario della sinistra storica toscana - e che come Renzi stesso ha ricordato, non lo avrebbe mia votato, e che come molti sono corsi a sottolineare è sembrata una ruffianata a quell'area politica della sua regione. Maria Carmela Lanzetta, invece, è stata sindaco di Monasterace, abisso calabro di 'ndrangheta, e proprio sulla lotta alla malavita aveva impostato il suo mandato: sette anni di minacce e danneggiamenti vari, l'hanno portata alla decisione di lasciare il suo ruolo e abbandonare la politica - «L'abbiamo lasciata sola», ha detto Civati, e ha ragione.
Stanchezza sugli altri, con tutto l'ovvio rispetto delle scelte: Cuperlo molto ortodosso, con Berlinguer e Rosa Parks, mentre Renzi ha messo Don Primo Mazzolari e Civati Bill de Blasio. A testimonianza - se davvero ce ne fosse bisogno - che la pratica di collezionare "miti", riferimenti, è ormai diventata un po' agé; via di mezzo tra i righelli adolescenziali - o "collezione di farfalle" - e lustri accademici annacquati.
Aveva cominciato a dire il vero, in tempi non sospetti e con quella classe politica che molti se la sognano ancora, Bettino Craxi, evocando Proudhon - dev'esserci un bel po' di quella celebre frase del pensatore francese "quando avremo demolito tutti i dogmi aprioristici, non pensiamo di indottrinare a nostra volta il popolo" in questa storia dei Panthéon. E con quella stessa classe, Craxi, aveva instillato il culto di Garibaldi nei biberon degli italiani e poi scippato Mazzini a Spadolini e giocato con Gramsci alla faccia dei Compagni.
Poi fu lo stesso Craxi a finire dentro il calderone, richiamato da Fassino più per strategia politica contro l'incoerenza della figlia che era finita dal lato sbagliato - a dir suo - della barricata, che per convinzione vera: era il 2007, il Pd viveva ancora in fase embrionale. E ai tempi se ne dissero. Con tutto quell'essere cool, smart e up to date, che gli spin doctor si portano dietro, la comunicazione politica s'era fissata l'obiettivo del piacionismo - "il partito sta nascendo, facciamo vedere che siamo fighi" poteva essere il motto, rinfrescato con esiti catastrofici  in vari casi, ultimo cronologicamente con lo "smacchiamento" del giaguaro. Allora via con Pasolini, Montanelli, Allende, Pertini, John Lennon, Falcone, Enaudi e Berlinguer e Che Guevara - che ti dimentichi di Che Guevara? Con un po' di De Gasperi e Moro, che questi sono universali, e Mandela, Gandhi e Madre Teresa, che con quest'altri non ti sbagli mai.
Il giochetto ormai è stanco, ma fa sempre buon umore, tipo quando da bambini ti imponevano di divertirti a "cose-animali-colori" - che fuori erano le tre del pomeriggio d'estate, e non si esce alle tre del pomeriggio, anche su tu volevi giocare a calcio o a nascondino, ché poi se esci è caldo e sudi e ti viene un'insolazione e poi muori. Adesso che si è grandi il giochetto è diventato socialmente determinante, metodo sobrio e nemmeno troppo, di fare brillante mostra delle proprie formazioni. Innesco di dinamiche di riprova dal valore unico.
Attingere a fonti profonde, quanto più profonde si possa andare nell'apnea culturale, serve per costruire quell'altare granitico alle proprie professioni - che spesso però, come fece notare una volta Stefano Di Michele sul Foglio, rischia di diventare «un altare di sabbia in riva al mare». Perché spesso di pantheon si rischia anche di morire, ché la sua costruzione è cosa delicata, sottile, ponderata. Come quella volta che quel birbone del Senatore Ciarrapico ci mise dentro Andreotti e Mussolini.
Giammai! Ci sono regole non scritte, va bene mettere De Gasperi e Moro, ma è intoccabile il nome di Andreotti. Anche per un buono e devoto democristiano. Mentre da bravo democristiano - quello un po' di sinistra e à la page, come va di moda adesso - il nome da sparare è quello di Paolo VI, scelta raffinata, complessa, forse un po' indeterminata.
Follini lo buttò là alle ultime primarie del centrosinistra - quelle della battuta di Crozza - in tutto un ridondare di Papi e prelati, che vide Bersani chiamare Papa Giovanni e Vendola addirittura il card. Martini. Poi il governatore pugliese aggiustò il tiro il giorno dopo, correndo a dire che all'arcivescovo di Milano aggiungeva - «ovviamente», e sottolineò ovviamente - Berlinguer e Pasolini. Dell'ortodossia, si diceva.  Più banali quella volta, Laura Puppato - con Tina Anselmi e Nilde Iotti - e Tabacci, che all'inossidabile De Gasperi, aggiungeva Giovanni Marcora. Come al solito, mix di stabilità, fiducia e futuro, Renzi  un anno fa mise sul piatto un sempre buon Mandela - s'è detto - e la blogger tunisina Lina Ben Mhenni (vi risparmio la legittima googolata: ecco il link se non sapete chi è).
Contagiati in una pericolosa viralità, anche dall'altra parte un po' ci avevano provato: fu anche lì, in occasione delle fantomatiche primarie Pdl del dicembre 2012 - roba tipo il mostro di Loch Ness o la profezia dei Maya di quegli stessi giorni - che timidamente si avanzarono candidature. Samorì - quello che per un po' ce l'avevano fatto passare per il nostrano Ulysses Grant nella secessione pidiellina pre-primarie e pre-ritorno-berlusconiano - da par suo sbaragliò i giochi, affiancando a sua altezza in persona, il padre fondatore Berlusconi, addirittura Galileo. Sì, quel Galileo. A proposito: e per Berlusconi? Chi sono i Dei del suo Pantheon? Ne avrà detti almeno dieci mila - il tempo d'altronde ne ha avuto - ma di quelli più ricorrenti si ricorda, a memoria, la Thatcher, don Sturzo, Napoleone e Giustiniano. E anche qui non c'è troppo da stupirsi, la grandeur accompagna a braccetto l'ego smisurato. Altra noia, su per giù.
Perché quando "si va di pantheon", bisogna spesso lasciare da parte la serietà e il rigore, il credo, la strutturazione. Serve giocare di fantasia - serve l'eterodossia "baffonata" della "Gioiosa macchina da guerra", e chissà quanto sarebbe stata forte la squadra del fantacalcio del buon Achille.
La Lega, per dire, quella volta del "Vota il Leghista Mitico", fa da paradigma - senza la necessità. Evitato di ricorrere ad ampie e auliche definizioni, lessico più elementare, senza alambicchi semantici, l'iniziativa semplice semplice, faceva da corollario a un qualcos'altro definito il Campionato mondiale di Mitologia Leghista: si poteva votare entro il 1 settembre tramite coupon allegato alla Padania oppure sulla pagina Facebook.
Quelli della Lega si sa che sono un po' casarecci, e spesso si lasciano prendere la mano: via pudori e spazio al cuore, e allora sotto con i nomi - quel che serve in certi casi. Al fianco di Oriana Fallaci - che quando sei un po' di destra, un po' xenofobo, ma vuoi metterci una pennellata culturale la Fallaci ci sta sempre bene, che i danni che ha fatto in questo immaginario sono difficilmente numerabili - ci sono Engels, Carlo Magno, Nietzsche, Nerone e Vercingetorige, Carlo Cattaneo, e un posto anche per il prof. Miglio (certe volte si torna tanto indietro e ci si dimentica dei migliori che stanno dietro l'angolo). Nomi altisonanti - no Miglio, no, chiaramente -, che con ogni probabilità andrebbero all'eventuale premiazione per sputare in faccia al Bossi di turno - no Miglio, no, chiaramente.
Ma la fantasia padana, stimolata dal germe mitologico vichingo e forse dalla grappa e dal rutto libero - segno vero e proprio di un understatement creativo, una sorta di otium romano, anzi no che poi se la prendono, diciamo allora uno scholè greco - ha superato ogni sorta di segno. Fanculo l'ortodossia di partito, rivoluzione! E passi per Vercingetorige, che con gli Arverni potrebbe anche richiamare una macrogallia o un macropadania, e passi pure per Leonida che con quei 300 - 150 in maledetti euro che poi vedi che finaccia che si fa - rappresenta il baluardo storico che salvò l'occidente, immaginario di virilità oltretutto, risvegliato dagli addominali del film di Snyder. "Ce l'ho durismo"  di maniera. Ma il resto.
Si cominciava con Tex Willer, del quale si diceva nella descrizione che delle feste di partito sarebbe di sicuro stato più interessato alla cucina che ai comizi, e poi si proseguiva con Eric Cartman di South Park: stando a quel che si leggeva nella descrizione che accompagnava la candidatura, sarebbe stato la matrice dello spirito leghista "più provocatorio e rude ma forse il più genuino". Io ce li vedo Matt Stone e Trey Parker ad una festa sul Po.
Matteo Salvini, che è candidato alla guida del partito con una nuova rivoluzione 2.0, fa il figo mettendo sul piatto Aaron Swartz, informatico che rese pubblici qualche anno fa dei documenti della Corte Suprema negli Stati Uniti (con altri dati), successivamente incriminato si tolse la vita poco dopo. E poi Bobby Sands. Ma non finisce qui, sia mai che mancasse qualcosa per qualcuno come dicono le brave massaie: c'è Martin Lutero, Robin Hood, Attila Flagello di Dio - quello del film di Abatantuono, chiaramente non quello storico, per capirci meglio quello di "A come Atrcità, doppia T di Terremoto e Tracetie" -, William Wallace manco a dirlo, Homer Simpson, Gianni Brera e Obelix. E poi c'era Fabrizio De André, che vaglielo a dire a De André che l'hanno messo là in mezzo.
Ormai senza pantheon non sei nessuno, anche se costruirne uno decentemente presentabile in pubblico è operazione complicata. Forse tempi indietro sarebbe stato più facile, con richiami a pensieri e pensatori di alto pregio, indiscutibili riferimenti, da abbinare alla seriosità che i partiti dovevano rappresentare. Ma l'attuale deriva pop complica tutto, il movimentismo e l'anti establishment peggiorano il malato - il partito - tanto che qualche anno fa i Comunisti Italiani di Diliberto, dimenticarono Gramsci e misero negli ingredienti della loro ricetta il George Clooney di "Syriana" e un pizzico di Dr House.
Nell'iperdinamico ciclo di produzione d'icone e nella voracissima velocità con cui vengono consumate, allora forse è meglio soprassedere a questa che ormai è diventata una prassi tremendamente noiosa, forse, unica nota stonata in una serata in cui il Pd ha fatto il partito - sul serio, vero, chiaro, presente, forte, credibili.


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