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La teologia, la filosofia e la scienza hanno cercato e cercano di dirimere la controversia in merito al libero arbitrio. Alcune correnti teologiche lo ammettono, cercando (invano) di conciliarlo con la prescienza ed onnipotenza di Dio; altre con maggiore coerenza lo negano. Nell’ambito delle dottrine filosofiche le posizioni sono molto eterogenee e con innumerevoli sfumature. La scienza smentisce in toto la libera volizione umana: il determinismo perché essa collide con le ferree leggi della natura; l’indeterminismo in quanto il carattere casuale e probabilistico del microcosmo esclude l’intenzionalità.
Se dunque ci rivolgiamo alla teologia o alla scienza, dobbiamo rinunciare all’idea di libertà. Restano le variegate, ma a volte deboli, opzioni filosofiche. Sono proprio i filosofi i più strenui assertori della volizione libera. Si pensi, fra i contemporanei a Fernando Savater che, nel libro “Le domande della vita” dedica un capitolo alla “Libertà in azione”. Le sue riflessioni sono emblematiche. Leggiamo: "Gli specialisti delle relazioni tra sistema nervoso e sistema muscolare possono spiegare come accade che io muova un braccio, quando lo decido". In questo asserto notiamo un grossolano errore: gli specialisti possono descrivere secondo quali processi un segnale bioelettrico del cervello si trasmette ai muscoli del braccio, ma non spiegare davvero come ciò avvenga. Le scienze sperimentali possono illustrare i modi in cui funzionano i corpi organici e gli oggetti inorganici, non motivare, chiarire, risalire alla vera origine.
Altrove Savater scrive: “L’azione è libera, perché la sua causa è un soggetto capace di volere, di scegliere e di mettere in pratica progetti, vale a dire di realizzare intenzioni. La causa di un’azione sono io in quanto soggetto”. Ora, il pensatore spagnolo, come è ovvio, non riesce a dimostrare, se non con le tautologie, che l’essere umano è libero, ma è incline a pensare che lo sia, poiché “l’uomo sembra essere l’unico animale in grado di essere scontento di sé stesso. Il pentimento è una delle possibilità sempre aperte all’autocoscienza del libero agente”. In altre parole, la libertà è solidale con l’etica: l’una non sussiste senza l’altra, come sostiene Kant. Il filosofo tedesco, in modo onesto, ritiene che il libero volere possa essere solo postulato, essendo in sé indimostrabile.
Dall’esempio riportato si arguisce che il problema della libertà in sé interessa poco o punto, mentre sta a cuore costruire la morale su cui puntellare la responsabilità.
Molti altri aspetti meriterebbero di essere sviscerati in merito allo spinoso tema. Tuttavia per ora li accantoniamo, perché vorremmo tornare al contenuto centrale, la “legge” dell’attrazione. Il potere di attrarre significa che il pensiero agisce sulla materia e sugli eventi. Qui dobbiamo subito sgombrare il campo da un equivoco: non bisogna riferirsi alle onde cerebrali. Esse esistono ed influiscono sull’esterno, ma sono molto deboli.
Il pensiero (res cogitans), a differenza delle onde emesse dall’encefalo, non è materiale. E’ possibile che la mente (A) abbia un influsso sulla res extensa (B), ma ciò avviene quando si crea un ponte tra A e B che sono enti ontologicamente diversi. Questo ponte non può essere gettato dal soggetto agente (A), ma dalla Supermente (Dio, Coscienza), cioè se e solo se A riesce ad entrare in contatto con la Sorgente, può incidere su B, vista la discontinuità, la frattura tra pensiero e materia. Soltanto la potenza di X permette di superare lo iato. Questo potrebbe spiegare perché i fenomeni cosiddetti paranormali sono infrequenti, sempre che alcuni (ad esempio, il Poltergeist) non siano dovuti ad energie che non ci sono ancora note e non al pensiero.
Addentriamoci maggiormente. La legge dell’attrazione implica che calamitiamo gli eventi positivi, se siamo positivi; quelli negativi, se siamo negativi. Prescindiamo pure da tutti quei casi che dimostrano il contrario: sventure che si abbattono all’improvviso su persone ottimiste, giovali e viceversa. Valutiamo il fatto che il pensiero, a mo’ di magnete, dovrebbe attirare i fatti che sono contesti in movimento. Come può il pensiero (A) attrarre a sé delle situazioni che includono eventi ed oggetti (B), stante la discrepanza ontologica sopra indicata?
E’ vero che a volte si ottiene ciò che con ardore si desidera: ci si convince così di poter determinare il corso degli eventi. Di tale correlazione si hanno indizi solo soggettivi, accidentali, non probanti. Quasi sempre i guru di codesta legge insegnano ad attrarre denaro, successo e salute: i primi due sono obiettivi materialistici ed egoistici. La legge dell’attrazione, che è presentata come una risorsa spirituale, si inquadra così in una cornice molto meschina.
Ad ogni modo, la vera felicità non coincide del tutto con i beni concreti. La legge dell’attrazione sembra fallire miseramente proprio nel mondo degli affetti e delle gratificazioni interiori che sovente dipendono da una svolta nella vita. E’ un cambiamento di direzione che non si manifesta mai, nonostante tutta l’intenzione che possiamo concentrare su di essa.
Il pensiero è simile ad una mosca che vede di là dal vetro l’aria e la libertà, ma che non può in nessun modo uscire, continuando a sbattere sulla superficie trasparente. L’abbiamo definita frattura, discontinuità, ma la si può pure chiamare intercapedine, parete. Lo Spirito (A) pare prigioniero nella sua torre d’avorio, incapace di uscirne e di inoltrarsi nel mondo (B). La coesistenza della Coscienza e del mondo sensibile (dualismo) ci condannano all’accettazione del fato? L’unica libertà, come sostenevano gli Stoici e Spinoza, è accogliere con virile coraggio il proprio destino?
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