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La Libia dopo Gheddafi

Creato il 24 ottobre 2011 da Casarrubea
La Libia dopo Gheddafi

Saif Al Arab Gheddafi, morto a 29 anni

E’ incredibile. Certe democrazie nascono con le condanne a morte degli avversari, senza processi e senza avvocati difensori. C’è da sospettare che non siano altro che nuove più subdole dittature, nuovi tranelli utili solo ai vincitori. Succede in ogni guerra.

Ci sono quelli che se ne stanno sul campo di battaglia con le armi in pugno a rischiare la pelle e ci sono gli strateghi, per lo più lontani, che manovrano, pensano, spingono. Abbiamo visto all’opera le “tigri di Misurata”, e abbiamo subito avuto l’impressione che più che di tigri si trattasse di iene. Assetate solo di sangue, incapaci di concepire una giustizia giusta, un nuovo orizzonte all’incipiente storia della Libia tenuta a battesimo dai suoi nemici di sempre: l’Italia, la Francia, la Gran Bretagna, gli Usa.  Senza il tiranno che per oltre quarant’anni l’ha dominata. Ma per fortuna c’è la Nato e se le cose andranno fuori posto i capi della santa alleanza le rimetteranno a posto.

Resta indiscutibile che il raìs ha fatto una fine gloriosa. Non c’è di meglio, infatti, che morire, come è accaduto a Gheddafi e ai suoi innumerevoli figli maschi, combattendo per le cose in cui si crede, anche contro tutti, contro la storia, le maggioranze, i più forti. Il senso comune e la stessa ragione. Del resto il colonnello l’aveva anticipato che avrebbe venduto cara la pelle, combattendo fino all’ultimo sangue. Alla fine l’ha scovato un ragazzo di vent’anni che se l’è venduto per venti milioni di dollari. Attorniato dalla sua tribù, come nelle danze antiche di certi villaggi di cannibali.  L’hanno portato allo scoperto, massacrato come un animale e alla fine gli hanno sparato un colpo alla tempia mentre era prigioniero dei suoi nemici.

 Gli italiani in questo sono specialisti, specie quelli che si riempiono la bocca di democrazia e che si vantano di fare tutto in nome del popolo. Ma quando pochi agiscono in nome del popolo c’è una dittatura più subdola di quella dei tiranni. Allora la vigilanza e la critica non sono mai sufficienti a tenerci in guardia, a farci scoprire i trabocchetti che ogni giorno ci si preparano per buttarci in qualche fosso, in qualche tunnel senza uscita.

Cosa sarà la Libia dopo Gheddafi? Siamo sicuri che in Tunisia, Egitto, Libia, Iraq, Afghanistan e in chissà quanti altri paesi del mondo ancora, le varie società evolveranno verso l’unico modello, al momento consentito, di società occidentale? Siamo sicuri che anche l’islamismo possa favorire l’evoluzione democratica dei popoli che lo professano? In ogni caso è giusto che l’Occidente con le sue gendarmerie mondiali spinga verso soluzioni congeniali ai suoi bisogni?

Quello per cui si era battuto Gheddafi è ormai passato alla storia: l’abbattimento della monarchia di re Idris I, la laicizzazione dello Stato, il programma antinucleare del 2003, lo sviluppo degli affari commerciali con il mondo occidentale, l’affermazione di una visione culturale panafricana e panaraba, la soluzione di vecchie ferite prodotte alla Libia dal colonialismo del primo Novecento, e via di seguito. All’opposto c’erano i suoi errori, i suoi limiti, il suo potere dispotico. Ma questo, lo si è sempre saputo, come già era accaduto con Saddam Hussein, faceva parte del gioco. A distruggere la grande finzione del loro potere è stata la fine di una sceneggiatura. Ne era pronta un’altra: quella dell’era di internet, manovrata dai soliti ignoti.

Ora che è morto, la sua stessa fine ne ha fatto un uomo improcessabile. Qualcuno ha accostato l’esibizione del suo cadavere in pubblico, a Gesù Cristo o a Che Guevara, a Benito Mussolini e a Clara Petacci o a Saddam Hussein. Morti illustri esibiti sulle pubbliche piazze. Ma ogni morto è diverso anche se riflette la barbarie di uno Stato nascente, il nostro essere inconsapevolmente “cani di una muta gettata nel pantano dell’odio e della voluttà guardona”, come scrive su Panorama.it del 21 ottobre, Pietrangelo Buttafuoco.

La verità è, però, un’altra. Un’altra sola. Nessuno può giurare che alla laicità delle società e
dei poteri che avevano cominciato a dominare la costa africana del Mediterraneo, non subentri adesso un nuovo integralismo islamico che azzeri le conquiste ottenute e riaffidi il potere al comando dei vecchi capitribù.

Alle loro spinte pare abbia risposto la vocazione dei nuovi califfi, di nuovi generali e di nuovi ‘amici’ dell’Occidente, da sempre interessati alla gestione e al controllo diretto delle fonti di energia. Purtroppo non siamo più agli inizi per dire: “Staremo a vedere”.


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