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La Lupa: l’Insaziabile Voracità della Passione

Creato il 24 maggio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il maggio 24, 2012 | TEATRO | Autore: Laura Cavallaro

La Lupa: l’Insaziabile Voracità della PassioneLa malìa della musica ti penetra nell’anima ancor prima che si spengano le luci. “La lupa” con l’adattamento di Turi Giordano e Guia Jelo, di scena al Teatro Brancati, è tutta un’attrazione che fiorisce e si protende verso la distruzione. Tratta dall’omonima novella di Giovanni Verga, pubblicata nella raccolta Vita dei campi nel 1880, il testo originale è narrato dalla voce extradiegetica di Michele Placido. I dialoghi sono stati curati invece dall’attrice protagonista, che ha fortemente voluto quest’opera, coadiuvata nel lavoro dal regista Giordano. Una collaborazione fruttuosa che ha visto diverse repliche di questa versione già da qualche anno. La gnà Pina detta la Lupa, non è la solita eroina verista fatta solo di erotismo estremo. La visione registica tende a porre i riflettori su una femmina che drammaticamente vive il conflitto tra l’amore impossibile per un giovane e la gelosia verso la figlia. Un triangolo malato fatto di sentimenti che s’insidiano nell’animo. Sono tutti un po’ vittime di se stessi: la gnà Pina, in là con gli anni sente ancora nascere in lei pulsioni amorose considerate da tutti esclusivamente giovanili; la figlia Mara (Ilenia Maccarone), consapevole della voracità sessuale della madre, è ingabbiata, suo malgrado, in un vortice di amore/odio. Il seme della discordia tra le due sarà proprio il giovane Nanni Lasca (Andrea Galatà), un contadino squattrinato in bilico fra l’attrazione per la Lupa da tutti disprezzata e la necessità di uno status, che gli può venire solo dalla dote maritale di Maricchia. Il teatro verghiano è fatto di sangue e passione; ti scuote come i boati di un’eruzione, è ruvido come la sciara, bollente come la lava, e in questo, le scene del compianto scenografo Giuseppe Andolfo sono decisamente confacenti. Anche i costumi, curati da quest’ultimo, risultano attinenti e allo stesso tempo inconsueti. La dominante di colore è delineata dal nero e dal grigio, brandelli di stoffe cuciti insieme a coprire di abiti modesti i contadini (Fabio Costanzo, Giovanni Santangelo, Roberto Fuzio), compare Janu (Franco Colajemma), Malerba (Emanuele Puglia), le contadine (Elisabetta Alma, Iridiana Petrone), la vecchia zia Filomena (Nellina Laganà), Nanni e Mara. Mefistofelica l’apparizione della Lupa di rosso vestita, un corsetto le cinge la vita, esaltando le sue forme. «Garofano pomposo, dolce amore» canta per ammaliare come una sirena il suo amato.

La Lupa: l’Insaziabile Voracità della Passione

Il racconto, che si snoda in due atti, è intervallato da diversi canti. I testi delle canzoni ricercate tra quelle popolari e alcune riprese dal libretto d’opera di De Roberto e Verga, sono ineditamente musicate da Matteo Musumeci. Molteplici i momenti di ballo (curati dalla coreografa Silvana Lo Giudice) e musica che vedono protagonisti i contadini, inframmezzati da suggestivi tableaux vivants. Nulla può spegnere l’ardore di questa donna superbamente interpretata da una Guia Jelo di innegabile bravura, essendo questo personaggio sicuramente nelle sue corde. Solo quando la passione verrà consumata, la sciagura si abbatterà su tutti indistintamente. Il secondo atto è tutto incentrato sulla redenzione di Nanni, che durante la processione del Venerdì Santo afferma: «La corona di spine in capo, la voglio di spine vere». L’uomo non vuole soltanto rendere grazie per la vita che gli è stata risparmiata, ma soprattutto lavare la lordura della sua anima. Quella cagna insaziabile riappare, ma ormai è discinta nel suo abito nero, smagrita, invecchiata e malata. Il pàthos drammatico raggiunge livelli altissimi quando le due donne, madre e figlia, si trovano faccia a faccia: «Ladra, viniti a me casa per rubarmi a paci» le grida la figlia. Di grande bravura Colajemma nei panni della coscienza critica che tenta di far riflettere il giovane Nanni, prima dell’infausto finale. La pazzia d’amore si è impossessata della gnà Pina: «Ammazzimi che non me ne importa, ma senza di te non ci voglio stare» e cade in terra. Un’interpretazione insolita per un testo fondante della cultura siciliana, che fornisce un amalgama denso fra sentimenti positivi e negativi, ponendo l’accento su questi ultimi. Piacevole l’effetto d’insieme dell’intero cast, per una recita di apprezzabile livello artistico.

Per gli scatti inseriti in questo articolo si ringrazia il Teatro Brancati di Catania – Fotografie di Laura Finocchiaro



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