E oggi sono orgoglioso di presentarvi Elizabeth Jane Cochran.
Elizabeth nasce nel 1864 in Pennsylvania. Dimostra di avere le idee piuttosto chiare fin da subito: a casa sua si legge il Pittsburgh Dispatch, e mi piace immaginarla sputacchiare il succo d’arancia mentre legge un articolo sessista sul quotidiano. Elizabeth prende carta e penna e scrive un’infuocata risposta indirizzandola all’editore. La sua lettera non viene pubblicata, ma lo stile e la potenza dialettica non passano inosservate: la giovane viene assunta come giornalista e assume lo pseudonimo di Nellie Bly.
Elizabeth – diventata Nellie – si dedica ad un tipo di giornalismo del tutto nuovo, inaugurando una professione adatta a chi senta per metà scrittore e per metà investigatore privato. Sono pezzi di indagine che procurano anche qualche disturbo alla proprietà del giornale, come quando viene inviata in Messico e viene espulsa dopo qualche mese dal governo sudamericano perché colpevole di aver raccontato la storia di un giornalista imprigionato dal presidente Porfirio Diaz per le critiche verso il potere. Rientrata in sede, finisce per essere relegata alle “pagine femminili”. Date un’altra occhiata allo sguardo di inizio post: ve lo vedete un ripeto del genere a scrivere di merletti e di ricette del tacchino alle prugne? Io no, e lei neppure, tanto da licenziarsi e andare a cercar fortuna altrove.
Nellie – una volta Elizabeth – va ad offrire i propri servigi al New York World, diretto in quegli anni da un “tale” Joseph Pulitzer. Il quale non solo la assume, ma le affida immediatamente una inchiesta sul “Women’s Lunatic Asylum”. Già: un manicomio. Una struttura in cui Nellie si fa internare, per poter raccontare in quali condizioni e a quali trattamenti fossero sottoposte le pazienti, con le quali condivide cibo rancido e cure scioccanti. L’inchiesta ha un tale eco da portare ad una riforma di quel tipo di istituti.
Nel 1888 Pulitzer ha uno di quei colpi di genio che ne hanno eternato il cognome: inviare un reporter a ripercorrere il “giro del mondo in 80 giorni” immaginato da Verne, e pubblicarne i resoconti. L’idea ha un riscontro incredibile al quale contribuisce la scelta di Nellie quale giornalista in viaggio: per la prima volta, una donna vola, pernotta e si muove in maniera indipendente, attraversando Inghilterra, Giappone, Cina, Hong Kong, e due tappe che ci colpiscono un po’: Brindisi (perché è in Italia) e Amiens, perché ci abitava lo stesso Verne. Tornerà a New York dopo 72 giorni di circumnavigazione, un vero record per quell’epoca.
Dopo un periodo di lontananza dal giornalismo, Nellie Bly tornerà alla carta stampata nel 1914, con una serie di reportage dal fronte della prima guerra mondiale che sono utilizzati ancora oggi quali esempi di cronache di guerra. Si spegnerà per un polmonite nel 1922, e novanta anni dopo il “Wall Street Journal” la definirà “la madre di tutte le giornaliste”.
Mi son dilungato un sacco, e ora taglio: una sola domanda rimane senza risposta. Come può l’industria cinematografica americana essersi lasciata sfuggire un soggetto simile, già pronto per un film? Non lo sappiamo, ma possiamo provare a immaginarlo, e magari avanzare delle candidature per l’interprete femminile che vorremmo si cucisse addosso gli abiti di Elizabeth – Nellie Bly.