Fausto Paravidino oggi ha 35 anni. Attore, regista. Teatro e TV. In TV è stato Riccardo Schicchi. Chissà se baratterebbe il testo scritto a 24 anni “La malattia della famiglia m” per Eva Henger.
Dovessimo scegliere noi per lui, beh sceglieremmo per lui “La malattia della famiglia m” e per noi Eva Henger. Bene.
Ieri pomeriggio alle Fonderie Limone a Moncalieri (TO) pioveva. L’atmosfera sul Sangone, fiume che cinge i Comuni di Nichelino, Moncalieri e Torino, non era molto diversa da quella in scena. Realtà e finzione. Quanta sovrapposizione. La realtà è l’insieme intersezione tra l’insieme tragedia e l’insieme commedia, tra l’insieme vita e l’insieme fiction. Tra sogno e veglia.
La famiglia m è una famiglia senza madre. Un padre e tre figli. Due figlie ed una figlia. La mamma, morta. Ma presente. Con la sua assenza. Ingombrante. Nei discorsi, nel continuo rimandare a lei che ciascuno dei sopravvissuti fa. Acuendo il dolore.
La famiglia m ha una malattia. Che non si vede. Nel capovolgimento delle prospettive che il teatro da allo spettatore, scopri che, mentre la malattia ti costringe ad essere assente, è l’assenza della malattia, la sua intangibilità a renderla più presente. Più dolorosa e acuta.
I personaggi parlano senza comunicare. Le vite, rivoli di un ordine imperscrutabile, svolgono ciascuna il proprio copione. Slegate. La famiglia obbliga i singoli copioni a coesistere all’interno di uno stesso tubo catodico. Dietro la mano di una stessa regia. Forzata. Che è mera giustapposizione senza l’intervento di un abile regista, di un filo conduttore. L’assenza della madre è l’alibi dietro il quale si nascondono i personaggi che derivano nel mare della vita alla ricerca di un ruolo che una vita senza regista non gli sa assegnare.
Il testo è agile, ben scritto. E’ coerente con il disorientamento che i personaggi vivono e recitano. Come coerente è la sceneggiatura di questo paesino senza luogo e senza tempo. Dove la pioggia e la neve sono solo uno strumento per colorare lo stato d’animo sulla scena quando il plot corre verso l’epilogo. Tragico. In cui tutti partono. Parte il medico di campagna, la voce narrante cui è affidato il compito di aprire e chiudere la vicenda. E mai di incidere. Scompare Gianni, il figlio minore, che muore in un incidente d’auto. Marta e Maria che vanno altrove.
Tutti alla ricerca del proprio ruolo in questo mondo. O nell’altro. Tutti partiti alla ricerca della propria vita di cui si vogliono appropriare fuggendo ruoli che le mura domestiche, l’atmosfera angusta d paesino, le difficoltà dell’anima e della psiche finiscono per l’assegnarci
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