Avevo questa rivista di barche per ricconi sfondati che mi aveva passato l’ex direttore. Poca roba, quattro numeri all’anno per meno di cinquemila euro netti in totale. Non mi avrebbe cambiato la vita ma, come si dice, tutto fa brodo e quindi era il modo giusto per ricominciare.
Ne ho impaginato un numero e, visto che le gabbie, dopo anni di rimaneggiamenti e distrazioni, erano ormai un disastro quasi ingestibile, ho rifatto le pagine mastro come si deve, senza prendere un centesimo in più. Poco male, mi sono detto, servirà per lavorare meglio, più velocemente e con maggiore precisione.
Se non fosse che, proprio ieri, l’ex direttore mi ha comunicato che l’editore ha deciso di affidarne la realizzazione all’agenzia che cura già la sua immagine e che, per questo, la impaginerà praticamente gratis o a prezzo di costo. Dice che la flessione pubblicitaria gli impedisce di coprire le spese e a stento riesce a pagare la stampa.
Faremo ancora un numero e poi ciao ciao, se ne andrà affanculo anche questo lavoro. E pensare che sono oltre vent’anni che l’ex direttore aveva questo cliente; ne parlava che sua figlia ancora non camminava e oggi ha diciannove anni.
Inoltre, al colmo dell’umiliazione, mi ha detto che un ex grafico della Rizzoli con il quale abbiamo lavorato entrambi, lui come suo direttore e io come collaboratore esterno, guadagna alla grande come fotografo, roba da oltre settantamila euro all’anno.
È proprio vero che il mondo va a cazzo di cane. Ho sempre pensato che questo F. fosse un emerito coglione e questo era anche il parere della redazione tutta. Un cretino che si vestiva come l’opinione comune pensa si debba vestire un creativo - ne ho già parlato -; che andava a ballare latinoamericano con la moglie, altrettanto cretina; uno che per fare un servizio da quattro pagine ci impiegava una settimana, totalmente disimpegnato da tutto ciò che è sociale o solidale o umanitario, insomma un vuoto vanesio presuntuoso quanto stupido.
Inutile dire che queste cose mi fanno montare un’invidia che non dico, mi fanno pensare che, crisi o non crisi, ci sono persone che lavorano e anche bene, che comunque il mercato si muove e che io, non so perché, ne sono tagliato fuori.
Vacillano anche le mie convinzioni antisuperstiziose; sono quasi convinto di essere vittima di un terribile malocchio, una maledizione per qualcosa di innominabile che devo aver commesso nelle vite passate, un castigo divino per le infinite bestemmie, un voodoo praticato per errore da qualche santone caraibico che mi deve aver colpito per sbaglio. Non c’è altra spiegazione.