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La memoria del moscerino

Creato il 28 gennaio 2013 da Albertocapece

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La grazia della tarda nascita, come chiamò qualcuno la sorte di essere indenni dalla colpa, non dovrebbe esimere dalla Idea del Bene, come chiama Platone quella preferenza di valore, quella consapevolezza che la conoscenza è migliore dell’ignoranza, che vivere da persone insensibili e illogiche toglie pienezza alla nostra vita, che sarà naturale, anzi bestiale, ma non è “umano” né giusto che il leone sbrani l’agnello.
Ma pare che viviamo una feroce interruzione del processo di civilizzazione, che la memoria funzioni ad intermittenza esonerando, in virtù di regole estemporanee, dagli obblighi che si imporrebbero anche a chi non è stato complice e nemmeno contemporaneo di vari misfatti e crimini. Così che gli italiani con una lunga storia e una prospettiva di migrazioni forzate, terroni o polentoni, con disinvolta indole all’oblio, respingono barconi, compiono festose incursioni in campi rom, berciano sulle ingombranti presenze di qualcuno oggi e ora più disperato di loro.

Ci informano oggi Le Scienze che nel cervello del moscerino della frutta, la privazione di cibo provoca notevoli cambiamenti nei meccanismi che determinano la fissazione delle memorie a lungo termine, molto costosi energeticamente. Due ricerche indipendenti hanno documentato in particolare la scomparsa delle memorie aversive – legate al ricordo degli stimoli negativi – mentre migliora la fissazione di quelle appetitive, che permettono di perpetuare comportamenti positivi. Ciò ha un chiaro significato evolutivo: quando le risorse scarseggiano, competere per il cibo è più importante che essere al sicuro dalle minacce dell’ambiente.

Siamo meno evoluti dei moscerini della frutta, dunque. E pensare che le esternazioni del cialtrone siano un incidente eretico in un contesto maturo e consapevole è non solo condannabile per troppa indulgenza e auto assoluzione, ma storicamente e civilmente disdicevole, in un paese dove si fa un gran uso politico della storia ma non la si studia, non la si insegna, la si distorce e piega in funzione propagandistica e infine se ne rifiuta la lezione, attraverso vari revisionismi tutti indirizzati a dare una accezione aberrante al concetto di normalità, in modo che il profondo legame che dovremmo sentire con le “norme” finisca per significare invece l’ovvietà e la naturalezza della loro violazione.

Non è dunque sorprendente che a chi considera intralci fastidiosi la Costituzione, una carta scritta dai comunisti, le leggi, inutili ostacoli alla libera iniziativa, la democrazia parlamentare, arcaico edificio di che impedisce fulminanti e proficue decisioni, il sistema dei controlli, famigerati lacci e laccioli che sabotano la legittima aspirazione a successi profittevoli, si addicano i modi sbrigativi e risoluti del duce. E solo dare un po’ di fuffa a qualche segmento elettorale, proprio perché non se ne può fare a meno, prima di sprofondare in una pennichella complice l’oratoria non brillantissima del presidente del consiglio, ha espresso riprovazione per le leggi razziali, che nel suo ventennato ha riproposto con rinnovata esuberanza, insieme a un vasto parterre di promotori, abilissimi nel trarre fuori dagli italiani gli istinti peggiori, ma davvero corretti, contenuti e repressi.

Semmai ci si può stupire che sia stato invitato, visti precedenti e promesse, a quella commemorazione, così come che non ci fosse la roboante alta carica, che avevamo visto in missione celebrativa per l’anniversario della morte del magnate e che oggi non pare abbia espresso vibrante condanna, che non è la prima volta che guarda all’imbarazzante figuro come a uno scapestrato del quale è preferibile non sottolineare le leggerezze.
Anche se è su di noi che ricade la vergogna. Mai sufficiente se il movimento che si sente più vicino alla gente piazza Anna Frank come testimonial, dopo aver assecondato immondi apparentamenti con Casa Pound, mai abbastanza forte se una ridente cittadina irride alla storia e alla democrazia nata dalla resistenza, erigendo un monumento al Graziani, torturatore e codardo, così cialtrone da essere inviso perfino a Mussolini.

È che è il fascismo ad essere considerato un incidente nella nostra autobiografia. Un incidente passato e che è lecito rimuovere grazie all’osannata fine delle ideologia, a vari muri crollati mentre se ne erigevano altri non solo virtuali, al ritrarsi di una sinistra incapace di corrispondere alle aspettative della sua storia, alle troppo correità coperte e tollerate, oltre che a certi equilibrismi dannati, mercenari e miserabili, che noi dobbiamo accontentaci anche nel revisionismo e affidarlo a Pansa.
E certo il nostro Paese non ha voluto guardarsi indietro per andare avanti, non ha saputo affrontare il suo passato e le colpe collettive e individuali del fascismo come hanno fatto invece i tedeschi che hanno elaborato un processo a se stessi perfino nella lingua, con l’ “Aufarbeitung” (forse traducibile con ‘elaborazione’ del passato), “Vergangenheitsbewältigung” (un termine pressoché intraducibile che descrive appunto il ‘modo di affrontare e gestire gli insegnamenti’ tratti da questa elaborazione) o con la “Erinnerungskultur” (la permanente ‘cultura della memoria’), che non sono scatole vuote o simulacri, ma corrispondono a un tentativo di autocoscienza, e se perfino la chiesa protestante ha accusato se stessa “di non aver confessato più coraggiosamente, di non aver pregato più fedelmente, di non aver creduto più gioiosamente, di non aver amato più ardentemente” . E se la Germania nel rivendicare il suo diritto a normalizzarsi nella comunità dei paesi, ha sentito il dovere di interrogarsi sul suo passato come una ferita che proprio perché ancora aperta dovrebbe impedire il ripetersi del male.
Oggi l’Ue, che con un cinismo demoniaco condanna alla fame e alla rinuncia dei diritti interi popoli, ancora una volta ci impartisce lezioni di morale politica, un abbinamento che suona sempre più come un ossimoro. E costretti all’ubbidienza dall’esistenza in vita e nei media del pagliaccio e dal governo dei loro camerieri, dobbiamo subirle. Io personalmente mi chiamo fuori, ma siamo arrivati a questa vergogna perché in troppi invece le meritano.


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