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La memoria di berto

Creato il 24 gennaio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da lapoesiaelospirito su gennaio 24, 2012

di Meth Sambiase

“Al tempo di Monaco ero a Parigi. Dovetti recarmi, per incontrare un amico, in un alberghetto della periferia. Mi accompagnava una signora francese. La mia “buona stella” mi fece entrare nella “hall” dell’albergo giusto nel momento che la radio trasmetteva il discordo di Hitler. Saltò fuori, di dietro il “comptoir”, la figlia della proprietaria: giovane alsaziana tedesca. Gridava invasata “Spricht Hitler, spricht Hitler”. Mi volsi, per cogliere la reazione, alla mia accompagnatrice. Con mia sorpresa, la reazione non venne. Venne, in sua vece, un grazioso sorriso, col quale cercò di disarmare l’innamorata di Hitler, prima di chiederle, quasi con umiltà, se la persona della quale eravamo in cerca si trovava in quel momento “à la maison”. Lessi in quel sorriso che la linea Maginot era stata una grossa spesa inutile, che i “bocche” avrebbero agevolmente invasa la Francia, e trovati in essa molti volenterosi collaboratori. E decisi di tornare in Italia (da Cinque aneddoti con una morale, in Prose, Umberto Saba, 1964).

Quando Saba tornò a Trieste, la vita sociale è nel pieno delle leggi razziali, a ridosso della guerra. La massa, quella “massa artificiale” era stata persuasa e aveva, quindi, scelto; l’individualità si era liquefatta e coagulata in un’icona di sicurezza e certezza, e nel valore dell’unico credo di questo partito aveva (parzialmente) rinnegato il valore Pensiero.

Questo è il punto zero dell’incredulità. Seppure concentrati in un denso grumo comunicativo (la radio ad esempio, era il mezzo principale di “persuasione” delle masse) la folla era, è, marea umana, ogni onda un uomo, nonostante quel densificarsi negli anni della resa della ragione, in un sentire uguale, cameratesco. Questo è il luogo della miscredenza: “Ti pare il sopravvivere un rifiuto d’obbedienza alle cose. E nello schianto del vetro alla finestra è la condanna” (Il vetro rotto).

La condanna è (auto)imposta. Il battito individuale affluisce nel delirio di una forma (inumana) acritica, totalizzante, che dia l’illusione di avere tutte le risposte e che queste siano perfette, immote, racchiuse si, in un simbolo immediato, ma universali per un mondo ristretto. La resa definitiva di una vita pensante ad una setta cannibale di pensiero. Il sonno della ragione genera mostri, ma quei mostri hanno scelto di lasciare la via della ragione quietamente, la loro consegna della divina forma dell’intelletto è stata lenta e costante.

Qui la storia racconta ma non spiega. “In un paese io m’aggiro che più non era, remotissimo, sepolto dalla mia volontà di vita. E’ questo il bene o il male, non so che m’hai fatto” (I morti amici).

Sul percorso fra il bene e il male aveva provato a mettere il piede alla ragione anche Sigmund Freud, che ancor prima di quell’ascolto francese di Saba, proponeva delle risposte sui motivi della caduta della “responsabilità individuale” a favore della “dissoluzione” in una massa. Il suo saggio “Psicologia delle masse e analisi dell’io” è del 1921. L’analisi psicanalitica, non assolve il delirio come una devianza ma al contrario concentra, “una continuità in forza della quale la possibilità per l’io di dissolversi deve essere considerata come insita nella sua struttura e non come effetto di una sua patologia. Ipotesi che è stata confermata, nel recente passato, dal consenso di tante persone “normali” che ha accompagnato movimenti politici spintisi a realizzare programmi di sterminio (come i buoni cittadini di Weimar che sbrigavano le loro faccende quotidiane all’ombra dei fumi di Buchenwald) “(Renata Miletto).

La dipendenza, la forte coesione sociale, sono il beneficio non il costo per questa parte umana che ha segnato la memoria della pulizia etnica ante litteram a colpi di bombe e camere a gas.

La perdita del rifugio dell’altro come bene, è uno degli interrogativi che la storia non spiega, si limita ad insegnarci a ricordare. “La memoria, amica come l’edera alle tombe, certi frammenti ne riporta in dono” (Gli ultimi versi a Lina).


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