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La memoria non è un gioco: 23 maggio 1992
Creato il 29 settembre 2011 da Andresilver @VivereaOrecchioRitengo sia quasi irritante ed irrispettoso assistere a questo teatrino di migliaia di persone che rammentano le gesta di questi personaggi, senza avere piena conoscenza di chi sono stati veramente, cosa hanno fatto della loro vita e per cosa hanno combattuto. Preciso: reputo più che corretto e onorabile commemorare questi veri eroi non solo il giorno in cui sono scomparsi ma tutti i giorni; oggi giorno richiamare alla memoria chiunque è diventato veramente troppo elementare e di poca importanza: un "condividi" su facebook e il gioco è fatto. E mentre si pensa di essere a conoscenza di tutto, non si è a conoscenza di nulla.
E' un caso eclatante quello del giudice Giovanni Falcone, su cui puntualmente, ogni 23 maggio si sprecano trasmissioni televisive oltre a migliaia di parole. "Non si combatterà mai la mafia fino a quando non si adotterà un'azione congiunta e continua" diceva proprio lo sventurato giudice. Marcelle Padovani ha condotto, al tempo, una completa intervista al Giudice pochi anni prima dell'attentato di Capaci che è riportata interamente nel libro "Cose di Cosa Nostra".
Sono convinto che non si può avere uno sguardo approfondito sulla mafia fino a quando non ci si immerge in questa testimonianza in cui Falcone sviscera i meccanismi del potere e spiega in quale modo è riuscito a comprendere gli stessi.
Un vero eroe dei nostri tempi che si è distinto per la reale lotta all'organizzazione mafiosa di origine siciliana, pur non essendo mai stato coadiuvato dallo stato che più di una volta ha, invece, facilitato, avvallato e permesso la perduranza di questo cancro della vita di tutto il bel Paese, garantendogli una strada in discesa e senza ostacoli.
Questo sistema con regole non scritte, valori e tradizioni ben più radicate e importanti di quanto si pensi, ha tracciato un solco nel tessuto sociale italiano, diventando parte di esso e influenzando ogni suo respiro e qualsiasi attività, dalla più piccola alla più grande.
Spesso, erroenamente, quando si parla di mafia si pensa alle violenze perpetrate in molti angoli siciliani, nonostante questa società malavitosa sia ormai distribuita in tutta Italia e agisca in silenzio, a fari spenti e senza clamore, non avendo come mezzo principale la barbaria con cui viene ricordata, a cui ricorre solo in casi eccezionali che fanno parte di ciò che lo stesso Falcone descrive come "rete di terzo livello" di cui è stato vittima nell'attentato di Capaci del 23 maggio 1992 dove perse la vita insieme a sua moglie e a tre agenti della scorta personale.
Una società, nonché una struttura intelligente, gerarchica e ben modellata che intreccia e danneggia le nostre vite e non solo ed esclusivamente quelle dei cittadini siciliani. Sono, infatti, tutt'ora tanti i ragazzi a cui non viene data voce ma che lottano giornalmente contro la mafia, diversamente dall'opinione largamente diffusa nel nord Italia, dove troppo spesso questo fenomeno viene osservato con indifferenza e distacco alienante.
Ragazzi e persone che hanno bisogno di risposte e di protezione per agire e collaborare con uno stato che troppo spesso le lascia indifese e solitarie e che non si è mai abbastanza impegnato per combattere realmente questo tarlo.
Cittadini che sono ormai saturi e distrutti da questa associazione malavitosa che li costringe ad osservare con un binocolo tristemente logoro da desideri svaniti in una terra senza fine, una strada priva di destinazione e sbocchi, che non presenta opportunità di scelta e alternative valide di vita.
Persone affamate di speranza che vogliono ed esigono fatti, giustizia e rigore morale, famiglie ostaggi del proprio passato ma nello stesso tempo orfani di un futuro che gli è stato scippato con l'indifferenza, ma sempre e comunque orgogliose della propria storia e vogliose di vincere questa spietata e densa battaglia nella quale chi ha combattuto, fino ad ora, è sempre stato esclusivamente chi ha versato sangue.
"Conoscere i mafiosi ha influito profondamente sul mio modo di rapportarmi con gli altri e anche sulle mie convinzioni. Ho imparato a riconoscere l'umanità anche nell'essere apparentemente peggiore; ad avere un rispetto reale, e non solo formale, per le altrui opinioni. Ho imparato che ogni atteggiamento di compromesso - il tradimento, o la semplice fuga in avanti - provoca un sentimento di colpa, un turbamento dell'anima, una sgradevole sensazione di smarrimento e di disagio con se stessi. L'imperativo categorico dei mafiosi, di « dire la verità », è diventato un principio cardine della mia etica personale, almeno riguardo ai rapporti veramente importanti della vita. Per quanto possa sembrare strano, la mafia mi ha impartito una lezione di moralità. Questa avventura ha anche reso più autentico il mio senso dello Stato. Confrontandomi con lo « Statomafia » mi sono reso conto di quanto esso sia più funzionale ed efficiente del nostro Stato e quanto, proprio per questa ragione, sia indispensabile impegnarsi al massimo per conoscerlo a fondo allo scopo di combatterlo. Certo dovremo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l'eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."
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