Anna Lombroso per il Simplicissimus
Eh si, la morte di Priebke ha fatto uscire allo scoperto i suoi fan, protervi, ignoranti e sgangherati, che addirittura alla casa comune della destra preferiscono Casa Pound e alla divulgativa la storia siamo noi, i livres de chevet di Freda, dei consulenti dell’ex sindaco di Roma, e la paccottiglia cara a partiti che sono stati di governo molto a lungo, lasciando tracce indelebili, ancor più che di Faurisson o Nolte.
Possiamo dire che è colpa della scuola. Per anni eventi ancora recenti sono stati sacrificati, ridotti a monotone letture accompagnate dal ronzio degli insetti di giugno, nella sonnolenta e letargica attesa degli esami o delle vacanze.
Possiamo dire che è colpa di quella grande mistificazione bipartisan secondo la quale con la fine del secolo breve, con la caduta del muro, con la conclusione dello scontro tra le ideologie avremmo avuto un mondo perfetto, armonioso e concorde, senza più le arcaiche categorie di destra e sinistra e perfino di male e bene.
Possiamo dire che è colpa della sinistra, che ha tradito la sua tradizione oltre che la sua missione e vocazione, per inseguire il mito della pacificazione a celare l’aspirazione al compromesso, cancellando principi e valori fondativi della democrazia, legittimando criminali del passato, per giustificare compagni che sbagliano, mele marce su scala minore, reati talmente generalizzati da essere assolti dal pensare comune.
Possiamo dire che è colpa di un ceto ben distribuito che con la rimozione della memoria e delle radici della repubblica, accredita le operazioni di smantellamento della carta che ne è il pilastro, perché così si abbatte l’edificio di garanzie, di diritti e di doveri, perché così si autorizza in nome della necessità e della modernità l’espropriazione di beni comuni e la perdita di sovranità di Stato e popolo.
Possiamo dire che è colpa del cosiddetto uso pubblico che si è fatto della storia, largamente impiegato per avvalorare quell’amalgama tossico nel quale sono indistinguibili vittime e carnefici, colpevoli e innocenti, per far circolare quel clima confuso che fa scendere i livelli di guardia della vigilanza, per rendere possibile una interpretazione e perfino un uso di parte delle regoli, quelle della legge o quelle morali, per far retrocedere la storia a gossip o a spettacolo – ve la ricordate Claretta, del vergognoso Squitieri? – in una forma di degenerazione che non ha nulla a che fare con il fisiologico “revisionismo” quello che impone di rivedere alcune supposte certezze alla luce di nuove conoscenze, dell’accesso ad archivi, della scoperta di nuove prove.
Possiamo dire che come per l’antipolitica, che altro non è che un’aberrazione, altro non è che la cattiva politica, esiste anche un’anti-storia, quella che fa comodo a chi resta in superficie per togliere valore alla Resistenza, attribuendo indiretti meriti al fascismo, a chi ha interesse a ridurla a fenomeno bellico, nel quale fanno fede le gesta militari in modo che tutto il resto venga retrocesso a violenze, vendette, miserie. Dobbiamo a questi cattivi cronisti, ai Pansa, la perdita di respiro e di bellezza e di incoraggiamento che dovrebbero venirci da quel riscatto, che non mirava solo alla liberazione dallo straniero e da un regime, ma dallo sfruttamento, dalla violenza sopraffattrice che incarnavano, dalle tremende disuguaglianze che aveva prodotto e perpetuato.
Possiamo dire che è colpa dell’istinto umano più che italiano all’autoassoluzione, al rifiuto della damnatio memoriae, che investe il consenso al regime, alle leggi razziali con l’adesione di intellettuali e popolo di brava gente, così come le guerre coloniali e i misfatti d’oltremare, tanto dimenticati da permettere che una giunta regionale finanzi un monumento a Graziani. Un istinto che si riaffaccia e si ripresenta dando spazio e consistenza al razzismo e alla xenofobia come componente delle politiche di governo, sotto forma di leggi intese al rifiuto, al respingimento, all’esclusione.
Possiamo dire che è colpa della rete, nella quale di rovesciano a valanga dati e comunicazioni non accertate, mai convalidate, contraddittorie e sulle quali si incrociano i mi piace in una accettazione passiva, in un marasma inquietante.
Possiamo dire che è colpa dell’indole italiana al negazionismo: subito si introdusse come sistema di governo più che di pacificazione, il ricorso a condoni e amnistie, sempre di moda. E a forza di esercitare indulgenza, di stendere veli pietosi . si sa – si finiscono per ridimensionare le colpe fino a ridurle a sbagli comprensibili e giustificabili, fino infine a disconoscerle. Si fa abitualmente per le colpe, ma anche per le responsabilità e i doveri, negati e obliterati. E d’altra parte si avvicendano governi che annunciano per poi smentirsi, che fanno per disfare, che tolgono per rimettere. C’è anche una letteratura in merito: la mafia è un’invenzione degli scrittori americani, la mafia non esiste, la mafia esiste, ma solo nel Sud, il problema di Palermo è il traffico. La sinistra è differente. Quelli del Pci, dei Ds, del Pd, nel caso rubassero lo farebbero per il partito. I democristiano hanno costumi integerrimi. Tutti i magistrati sono comunisti. L’hanno scritto i giornali, l’ha detto la televisione.. e così via in un gonfiarsi sempre più potente di una bolla di menzogne largamente accettate, nella quale accomodarsi delegando ad altri attività di pensiero e di scelta.
E dire che non sarebbe poi così difficile stare dalla parte dei giusti, insieme a quell’uomo “che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire, a chi è contento che sulla terra esista la musica, a due
impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi, al ceramista che premedita un colore e una forma, al tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace, a una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto”.