Basta leggere gli editoriali ed i commenti di autorevoli giornali finanziari fuori e dentro l’area Euro, per capire essenzialmente due cose: la prima e’ che l’Europa vive una crisi profonda mai sperimentata prima la seconda e’ che questo punto di svolta dovrebbe essere governato dalla leadership tedesca che purtroppo si limita alla salvaguardia esclusiva dei propri interessi nazionali, e alla volonta’ di esportare il proprio rigore ed il proprio modello di sviluppo anche agli altri partners europei. Una cosa e’ comunque chiara se alla moneta unica non seguira’ un’ integrazione politica piu’ efficace capace di organizzare una risposta comune alla deriva in atto, e alle potenziali crisi future il rischio di una disgregazione del nostro continente sara’ sempre piu’ prossimo ed elevato.A quale prezzo e quando si giungera’ ad una piu’ incisiva governance europea, invocata ormai da tutti gli organi finanziari e politici nazionali e sovranazionali? Non e’ dato sapersi. Secondo il governo francese, italiano, inglese, spagnolo e greco i tempi sono maturi e parte delle riforme propedeutiche ad un’unione piu’ solida e piu’ attiva sono state portate a termine. Per il governo tedesco invece il traguardo ancora e’ molto lontano e continua a ripetere come un mantra solamente tre parole : austerity, rigore, risanamento. Per quanto tempo questa situazione potra’ andare avanti? E’ giusto che il contribuente modello tedesco non paghi i debiti contratti dai governi poco virtuosi , ma cosa rimarra’ dell’Europa se in questo gioco al massacro rimarra’ in piedi solamente, la virtuosissima Merkel? E soprattutto cosa rimmarra’ della Germania, se venisse a mancare un’ingente quota del suo mercato, visto che il 60% delle esportazioni tedesche sono dirette verso quei paesi oggi in difficolta’ ? Non a caso ieri il Sole 24 ore, ha lanciato un inequivolcabile appello sotto il titolo
“Schnell, frau Merkel” (“Presto, signora Merkel”). Il direttore del quotidiano il cui editore di riferimento e’ Confindustria Roberto Napilitano ha chiesto alla Cancelliera di “dare un messaggio forte ai mercati: l’Europa esiste, non salta, punto”, per poi continuare “Questo giornale pubblica dal 5 giugno editoriali dei padri fondatori sugli Stati Uniti d’Europa per ricordare a tutti che il prossimo vertice di fine giugno non può essere il venticinquesimo consecutivo in cui non si decide nulla. […] Signora Merkel, così non può andare avanti. Non farà molta strada se continuerà ad essere indifferente alla rabbia dei greci, distante dall’orgoglio ferito degli spagnoli, dalle paure italiane e dalle angosce francesi. Il tempo delle parole è finito, con dieci anni di ritardo, il disegno di integrazione politica va portato a compimento attraverso scelte concrete, immediatamente operative.” Napoletano ne elenca tre, già chieste dall’Economist: garanzia unica per i depositi bancari, accesso diretto delle banche al Fondo europeo di stabilità finanziaria e unificazione dei debiti pubblici europei, il tutto mantenendo distinti gli interessi tra paese e paese.“Se vuole che lei e la sua Germania restiate protagonisti in Europa, non ha più tempo da perdere. Batta non uno, ma almeno due o tre colpi, e li batta subito, perché a tutti sia chiaro che gli Stati Uniti d’Europa sono una realtà e l’euro non è più attaccabile”.
Lo dicono insigni commentatori, lo affermano autorevoli giornali, lo ha sussurrato Barak Obama, ne parla apertamente la maggior parte dei governi: ci vuole piu’ Europa e bisogna mettere da parte gli egoismi nazionali. Se il governo tedesco continuera’ nella sua politica folle e miope di affossamento di ogni vera politica di integrazione, rendendosi colpevole per la terza volta in meno di 100 anni di gettare il nostro continente nel caos e’ tempo che si muovano le masse popolari. Se migliaia di cittadini greci, portoghesi, spagnoli, italiani, francesi e (perche’ no?) tedeschi si trovassero a manifestare pacificamente di fronte al Reichstag di Berlino qualcosa forse la otterrebbero. Sarebbe un evento storico e segnerebbe plasticamente la nascita del popolo europeo che essendo presente non vuole piu’ delegare ad altri il proprio futuro.





