Una lunga assenza dovuta a cause fisiche. Sono morto. O meglio ho sono giunto alla zombità senza passare per la morte. Ma le mie sorti sono poca cosa. Ci troviamo davanti ad una rivoluzione copernicana e nessuno sembra essersene accorto. Soffiamoci il naso e scopriamo i prodigi dell’era del pupazzo.
Perché un bel giorno arriva il momento in cui vedi i pupazzi.
Non ha importanza che tipo di pupazzi siano. Possono essere peluche, di plastica dura, anni ’70 (ed in questo caso aumenterebbero il loro appeal in quanto oggetti di modernariato), puffi, Pokemon o orsacchiotti. Non importa.
Non importa neanche se si muovono, se stanno fermi o se camminano. Se si arrampicano sulle pareti sono notevoli ed anche se si dondolano sui neon appesi al soffitto. Tutti questi sono dettagli.
Però il vero pupazzo è lì. E sta fermo. Ieratico. Una sfinge onirica incarnata in un simulacro affettivo preadolescenziale. Sta lì. E non puoi dire se ti sta guardando oppure no. I suoi occhi sono fermi e immobili. Di vetro o semplici bottoni. Stanno fermi.
È un elemento altro che si manifesta. Lo vedi e la sua presenza è assenza. Un paradosso devastante e concettuale. È lo zombie di Kafka tornato dalla fossa per scrivere angosce alla luce di un vecchio lume a petrolio.
E dopo che hai visto i pupazzi che fai?
Chiedi al tuo collega: “Li vedi i pupazzi?”
E a quel punto il problema non è se ti dice di no e ti guarda in maniera stranita, strabuzzando gli occhi.
Ma in realtà è un falso problema. Perché i pupazzi sono dappertutto.
Una lunga assenza dovuta a cause fisiche. Sono morto. O meglio ho sono giunto alla zombità senza passare per la morte. Ma le mie sorti sono poca cosa. Ci troviamo davanti ad una rivoluzione copernicana e nessuno sembra essersene accorto. Soffiamoci il naso e scopriamo i prodigi dell’era del pupazzo.
Perché un bel giorno arriva il momento in cui vedi i pupazzi.
Non ha importanza che tipo di pupazzi siano. Possono essere peluche, di plastica dura, anni ’70 (ed in questo caso aumenterebbero il loro appeal in quanto oggetti di modernariato), puffi, Pokemon o orsacchiotti. Non importa.
Non importa neanche se si muovono, se stanno fermi o se camminano. Se si arrampicano sulle pareti sono notevoli ed anche se si dondolano sui neon appesi al soffitto. Tutti questi sono dettagli.
Però il vero pupazzo è lì. E sta fermo. Ieratico. Una sfinge onirica incarnata in un simulacro affettivo preadolescenziale. Sta lì. E non puoi dire se ti sta guardando oppure no. I suoi occhi sono fermi e immobili. Di vetro o semplici bottoni. Stanno fermi.
È un elemento altro che si manifesta. Lo vedi e la sua presenza è assenza. Un paradosso devastante e concettuale. È lo zombie di Kafka tornato dalla fossa per scrivere angosce alla luce di un vecchio lume a petrolio.
E dopo che hai visto i pupazzi che fai?
Chiedi al tuo collega: “Li vedi i pupazzi?”
E a quel punto il problema non è se ti dice di no e ti guarda in maniera stranita, strabuzzando gli occhi.
Ma in realtà è un falso problema. Perché i pupazzi sono dappertutto.