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La metamorfosi di Ollanta Humala, da candidato progressista a presidente conservatore

Creato il 05 agosto 2012 da Eldorado

Riformista, progressista, rivoluzionario e nazionalista. Doveva essere tutto Ollanta Humala, invece il presidente peruviano, alla fine del primo anno del suo mandato, ha sorpreso tutti, detrattori e sostenitori rivelando una politica moderata, ma soprattutto di stampo conservatore e neo-liberale.
I peruviani gli hanno aggiudicato ai sondaggi un’approvazione del 36%, la più alta attribuita ad un presidente dalla caduta di Fujimori, ma il dato non deve trarre in inganno. Il Perù ha conosciuto una costante crescita economica ma anche una inusuale fragilità dell’esecutivo, rinnovato per ben tre volte e, soprattutto, un’animata protesta sociale.  
Humala ha riconosciuto nel discorso alla Nazione del 28 luglio gli errori occorsi durante il primo anno della sua gestione. Primo fra tutti il debito che lo lega ai settori più bisognosi della popolazione, che lo hanno votato in massa nel giugno 2011, ma che non hanno praticamente ricevuto nessun beneficio dalle politiche attuate dalla sua amministrazione. Del progressista e riformista Humala di quei giorni è rimasta solo la retorica di una nuova raffica di promesse, accolta questa volta con rassegnazione. A chi chiedeva riforme ha risposto con pragmatica serenità: ¨lo Stato non è disegnato per compiere grandi cambiamenti. Non possiamo creare incertezza¨. Un clima, questo, che altererebbe la fiducia degli investitori locali e stranieri, che hanno trovato nel Perù un socio affidabile, situato tra i paesi di maggior crescita in America latina.
La scommessa di Humala è quella che proprio questo clima, che abbraccia il mondo degli affari ed una politica economica liberista, possa ridurre per il 2016, data di chiusura del suo mandato presidenziale, la tassa di povertà dall’attuale 27% al 15%. Tutto semplice, eppure no. Le proteste sociali che hanno cosparso di sassolini i primi dodici mesi di Humala, partono proprio da quelle regioni che dovrebbero essere beneficiate dai progetti della grande industria, quella mineraria in testa. L’intenzione della Newmont Mining di sfruttare l’oro di Yanacocha con il progetto Conga ha scatenato un conflitto che è andato oltre l’ambito regionale ed ha aperto un profondo dibattito sul futuro dell’acqua e delle risorse naturali del Perù, minacciate dai piani di privatizzazione. Le proteste di Cajamarca sono diventate lo specchio delle contraddizioni che hanno marcato il primo anno dell’amministrazione Humala. Dichiaratosi duranta le campagna elettorale dalla parte dei meno abbienti, il presidente non ha avuto remore nell’inviare l’esercito e decretare lo stato d’emergenza per quella regione che non solo rifiutava un progetto minerario di dubbio valore sociale, ma che chiedeva garanzie per il rispetto dell’ambiente e per i diritti dei lavoratori. Cajamarca ha pagato per questo un alto tributo di sangue ed ha risvegliato il clamore di quei gruppi di protesta radicale che nel Perù non sono mai stati debellati, ma sopravvivono sopiti.
La metamorfosi di Ollanta Humala, da candidato progressista a presidente conservatoreÈ il caso di Sendero Luminoso, organizzazione sempre più implicata con il narcotraffico, che ha ripreso ad operare nelle zone dove viene coltivata la coca, dall’Apurimac all’Alto Huallaga. L’arresto del comandante Artemio, avvenuto in febbraio, non è stato sufficiente per smantellare la struttura armata di un gruppo che giustifica i suoi atti di criminalità organizzata attraverso un povero e retorico discorso politico. Se Sendero non è rappresantativo del malessere sociale, lo sono invece le organizzazioni e le comunità andine che da mesi mantengono in scacco le aspirazioni dello Stato imprenditore. 
Pur invitando al dialogo le parti sociali, Humala ha chiamato questa settimana alla presidenza del Consiglio dei ministri, lasciata vacante dal dimissionario Óscar Valdés, Juan Jiménez, il ministro dell’Interno che ha decretato lo Stato d’emergenza per Cajamarca. Una scelta significativa che rinnova l’intenzione dell’amministrazione Humala di investire nell’industria estrattiva, che comporta il 61% della bilancia delle esportazioni peruviane e di valutare, quindi, il contraccolpo sociale di tale scelta.
Cinquanta anni compiuti a giugno, l’ex capitano si dice ottimista del futuro nonostante i travagli del suo governo, che in un solo anno ha cambiato venti ministri. Un record (quattro titolari a testa per Difesa ed Interno) che rappresenta per molti il termometro della metamorfosi di un candidato progressista trasformatosi in un presidente conservatore. Una metamorfosi che non riesce a digerire nemmeno suo padre, il leader nazionalista degli etnocaceristi Isaac Humala, che si è schierato apertamente con i manifestanti di Cajamarca.
¨Il progetto di governo di mio figlio è destinato al fallimento¨ ha detto ai giornalisti ¨perché è un programma della destra e di tradimento alla patria¨. Più chiaro di così.


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