In questa confusione editoriale globale che stiamo vivendo, io mi ritrovo proprio nel mezzo, senza alcuna certezza per un futuro che oltrepassi i prossimi otto mesi. Tra arrivismo aziendale e comportamenti nei quali mai mi ritroverò, le mie passioni non si sopiscono. Ed è il bello di amare il proprio lavoro, nonostante le difficoltà e la fatica di emergere.
Proprio tra queste passioni che continuo a coltivare per amor di bellezza e per donare ad altri ciò che si ama – non certo perché si spera di vivere di queste piccole passioni, ma non si sa mai – ci sono i libri, vissuti in maniera, diciamo così, tridimensionale.
Sono sempre stata sul pezzo tra blog e giornali online, e posso dire con un certo orgoglio di sentirmi un poco una pioniera di questi mezzi di comunicazione che all’epoca (una decina di anni fa) pareva avrebbero portato una democratizzazione della cultura, una libertà di espressione mai viste in precedenza, anche per chi come me si ritrovava alla periferia dell’Italia (ma inconsapevolmente in mezzo a tante realtà frizzanti e vivaci, stretti come siamo in Friuli, tra Veneto, Austria, Slovenia); ma oggi sono più consapevole di come quel mezzo fosse sì ricco di potenzialità, ma pure di limiti.
Tutto ’sto panegirico sul web serve a introdurre la mia nuova, anzi vecchissima passione: i libri. Ma non libri qualsiasi, non volumi nuovi e freschi di stampa, che pure mi piacciono. Attualmente sono due le tipologie di libri che amo in modo viscerale: quelli vecchi, e qui c’è lo zampino del #belGabriele, e specialmente con un loro vissuto che corrisponda almeno un poco al mio; e quelli illustrati, meglio se autoprodotti.
Questo per dire che non mi stancherò mai di comprare, sfogliare, apprezzare i libri degli altri, ma che ho anche una gran voglia di mettermi in gioco. Perché di un gioco si tratta: voglio dare forma alle parole, creare libri che esprimano qualcosa, che abbiano un valore aggiunto rispetto al web. Che dia una sensazione tattile che su un eBook non riuscirei a trovare, o che forse potrebbe darmi con altre modalità.
Insomma, anche per colpa di quelle favolose donne della Sartoria Utopia con cui già collaboro (va da sé, come impaginatrice), mi sono iscritta a un corso di legatoria all’Istituto Bauer. Sento che la mia vena artistica che ho sempre represso, sentendomi poco preparata e meno brava di altri, sta prendendo oggi una direzione. È presto per dirlo, forse, e anche un poco presuntuoso, ma sento una attrazione verso questo mondo, che non può più essere ridotta a giochi o piccoli laboratori, a visione e fruizione passiva di questi oggetti: deve concretizzarsi, e ho la sensazione che adesso, in questa precarietà atavica, sia arrivato il momento.