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la mia personal opinion sui personal blog

Da Gynepraio @valeria_fiore

Indubbiamente, un corso di content management, scrittura creativa o narrativa mi farebbe bene e mi piacerebbe pure, ma non sono pronta a prendere anche questo toro per le corna. Per compensare il fatto che non dedico alla mia formazione il tempo e le energie che essa richiederebbe, leggo tantissimi e-book, pdf, opuscoli, newsletter, che parlano di blogging.

Dopo un anno di lettura attenta e onnivora, posso affermare che tutto questo materiale è prodotto a servizio dei blog con scopo di lucro. Blog corporate, ma anche blog di imprenditori, consulenti, professionisti, artigiani, la cui finalità è attirare un potenziale cliente con contenuti “interessanti” per poi dirottarlo garbatamente verso beni o servizi a pagamento. Da marketer, continuo a pensare che i blog siano uno strumento eccezionale per parlare di sé e del proprio business, e che se ben gestiti possano davvero fare la differenza in termini di credibilità e solidità della relazione. Un ottimo esempio è questo, che fa parte di un progetto di comunicazione studiato, coeso e molto sinergico.

La maggior parte dei guru di web marketing dà consigli assolutamente sensati: scegli una nicchia tematica, delinea il profilo del tuo lettore tipo, scrivi cose interessanti per chi ti legge, esprimiti con chiarezza e per paragrafi, offri delle call-to-action irresistibil, pubblica con frequenza regolare. Altri propongono tecniche per generare post accattivanti partendo dalle keyword più ricercate, da Google Trends, o dalle best practices di altri blogger. Non mancano indicazioni sulla scelta delle immagini, i tutorial per produrre infografiche, risorse e fonti da cui attingere materiale.

In queste pubblicazioni ho ritrovato lo stesso scollamento teoria-realtà che provai dinanzi alle testimonianze cui ho assistito durante l’università e il master: i relatori -solitamente ex top manager in multinazionali, riconvertitisi a consulenti- passano ore a raccontarti dei loro investimenti multimilionari in advertising e delle crescite a due cifre avvenute sotto la loro dirigenza (rigorosamente ottenuta a 24 anni: forse che nei primi anni ’80 per diventare dirigente bastasse fare le divisioni in colonna?), mentre l’audience è composto da figure junior impiegate a 1000 euro al mese in un’azienda che non ha budget manco per pagargli le ferie.

Mi sembra che i guru del blogging si scordino l’esistenza di una grandissima fetta della blog-torta, per comodità ribattezzata ” personal blog” che non ha l’obiettivo di monetizzare. Laddove monetizzare non significa necessariamente “attirare potenziali clienti”, ma anche “essere remunerati per dire la propria opinione” o “fare endorsement di sorta dietro compenso” (che è una maniera elegantissima per dire markette, spero si apprezzi la delicatezza) o “sfruttare il traffico del proprio sito per veicolare advertising” (ovvero inserire sul blog dei banner pubblicitari).

In altre parole, la maggior parte dei blog non è nata per vendere: esiste un numero incredibilmente alto di persone che hanno deciso di dedicare una quota del proprio tempo a produrre dei contenuti a titolo gratuito: riflessioni, humour, ispirazione e intrattenimento, prevalentemente. Molti di essi sono ben scritti, e io li seguo con piacere (alcuni li ho menzionati qui).

Ma molti altri -la maggioranza- fanno pietà. Queste persone non sono degli influencers, non vantano alcuna autorevolezza o expertise specifica, non sono dei professionisti del web né della scrittura. Sono letti da una manciata di cristiani, prevalentemente amici/parenti/altri blogger. I più evoluti hanno una fanpage Facebook con cui condividono i loro post, che a loro volta ottengono in media 3 likes e 1 commento, (quest’ultimo, solitamente, a opera di un corteggiatore delle scuole medie). Siccome io sono -di primo acchito, s’intende- una persona giudicante, mi chiedo con quale coraggio queste persone rendano pubblici i loro pensieri. Poi sopraggiunge la parte buona ed empatica di me -quella che nascondo accuratamente sotto strati di adipe e presunzione- e mi riempio di tenerezza pensando che dietro a quei post sgrammaticati e sconclusionati ci siano esseri umani che sentono, provano sentimenti, sviluppano pensieri e ubbidiscono all’istinto atavico di metterli nero su bianco.

Forse queste persone si sono date delle motivazioni sul perché continuino a scrivere: lo fanno per liberarsi, ma anche per ricordarsi, per rendere più veri i loro pensieri. Magari sono persone con velleità letterario-giornalistiche. Oppure si rilassano scrivendo racconti, e Carver manco sanno chi sia.

Il bisogno di fondo, però, è autoaffermarsi: non imporsi, ma dichiarare la propria esistenza, raccontare di sé nella speranza che a qualcun altro interessi, che la pensi allo stesso modo, oppure diversamente, e abbia voglia di discuterne. Non tutti hanno la pretesa di raggiungere un grande pubblico o si sentono vocati alla celebrità: ci sono blogger che scrivono nella speranza che una, e una sola persona, e proprio quella lì, legga le loro parole.

In ogni caso, si scrive per essere letti. Non credete a un blogger che dice di scrivere per se stesso.

Altrimenti, anziché un dominio, si sarebbe comprato un quaderno.

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