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Quando ero incinta ero capace di passare un pomeriggio su internet cercando di comprare oltre oceano un unicorno fatto all’uncinetto ma mannaggiamè se mi veniva mai in mente di cercare da qualche parte una minima nozione sull’allattamento. Consideravo la fase della “mucca da mungere“ una cosa lontana, una questione a cui avrei pensato dopo, come la storia dei vaccini o degli asili; sbagliavo. Ho vissuto nell’inconsapevolezza e lasciandomi trascinare dagli eventi come un adolescente che c’è rimasta fregata e ho pensato di gestire solo con l’istinto una questione che invece è molto delicata e che tutte le donne incinte dovrebbero approfondire.Chicco mi ha chiesto di condividere la mia esperienza di allattamento e ho deciso di farlo perché credo che leggere un'esperienza diretta sia meglio che leggere un articolo di giornale o un prospetto informativo.Io ho allattato la Nina fino a 14 mesi ed ero una che non voleva allattare. Questo ve la dice lunga su come ho preso la questione in maniera scriteriata. Nei mesi dopo il parto ho fatto tutto il contrario di quello che mi ero messa in testa quando aspettavo la Nina, l’ho addormentata allattando ogni santa volta, ho allattato ovunque e comunque solo per poterla calmare, ho lasciato che tutto il peso di certe mansioni come dormire e mangiare ricadesse su di me e sul gesto del dare il latte fino a farlo diventare niente altro che un balocco quando la Nina ormai si mangiava seduta a tavola una pasta al pomodoro.
Ma partiamo dall’inizio, quando tutta rattoppata come una coperta patchwork ti riportano in camera dopo il parto e un’ostetrica ti dice: vai, attacca la bambina al seno. Però stai attenta a come la attacchi e a come la tieni e a come si muove e al capezzolo e alla spalla e al colostro e al feng shui e a che urano sia in terza casa. CHE ANSIAIo ho fatto come al liceo, ho finto di sapere il fatto mio, ho incrociato le dita e ho attaccato la Nina. Ecco, ora dico la verità, io non ho fatto niente altro che prendere e avvicinarla al seno. Basta. Ha fatto tutto lei e io non ho mai avuto ingorghi, ragadi o altre parole terribili che non starò qui a nominare. Fortuna? Fato? predisposizione genetica? Boh. Forse sì.
E poi tornati a casa arriverà la notte delle notti, quella che tutti passano almeno una volta nei primi giorni di allattamento, la notte del “ecco, lo sapevo, mi è andato via il latte!” Pronunciato con più o meno enfasi ma sempre accompagnato dal panico di lasciar morire la creatura di stenti per una poppata saltata e che si risolve comprando un bidone di latte artificiale o riprendendo fiato e aspettando.
Insomma, i giorni passavano col mito del latte della mamma, tra i quaderni con segnate le poppate e le doppie pesate e con la storia dell’allattamento a richiesta che non rifarei mai, mai, mai e poi mai perché ha fatto di me un ciucciotto vivente, un pupazzo in carne ed ossa, una copertina consolatoria respirante. Lo so che ci sono signore scuole di pensiero che esaltano le virtù dell’ allattamento a richiesta ma io per la mia esperienza posso solo dire che probabilmente avrò sbagliato nel gestirlo e che probabilmente non sapevo distinguere le richieste ma ha creato solo cattive abitudini in mia figlia e mi ha reso pigra.
In poche settimane le mie tette erano diventate la soluzione a tutti i problemi della Nina in un “rincitrullimento” collettivo che partiva da me passando per le nonne e il babbo fino ad arrivare al pediatra che faceva spallucce ogni volta che chiedevamo delucidazioni su quando staccare la bambina che era diventata un po’ ossessiva. Risposta: quando pare alla mamma
MA CHE RISPOSTA E’ CHE IO QUI DEVO FAR CONVERGERE I PIANETI PER FARMI UNA DOCCIA FIGURIAMOCI SE RIESCO A PRENDERE UNA DECISIONE DI QUESTO TIPO
C’è da dire che poi io non ho mai avuto a che fare con una creatura facile. A me quei bambini paffuti e sonnolenti non sono toccati, è toccata piuttosto una stecchina che faceva pochi etti al mese e non dormiva praticamente mai ,quindi toglierle il latte materno equivaleva per l’opinione pubblica ( le nonne) al gettarla da una rupe.
E poi arrivano i denti. Quando ho smesso di allattare la Nina aveva 12 denti. Serve che aggiunga altro? No, non credo.
Quando è arrivato il momento di staccarla dal seno perché ormai era diventato solo un circolo vizioso di bizze e attaccamento e soprattutto ormai era più che svezzata, pensavo che sarebbe stata una tragedia greca, l’ennesimo periodaccio, un’infinita sequela di notti insonni e invece in tre giorni è passato tutto, tutto dimenticato e devo ammettere che è stato un piccolo grande passo per entrambe, lei è cresciuta e io mi sono sentita più autonoma e libera.
Non mi fraintendete, non voglio dire che tutto quello che è allattamento è un disturbo o una palla al piede, è un vero momento di primordiale intimità mamma/cucciolo, è una sensazione di amore che è davvero toccante e indimenticabile. Non vorrei neanche sembrare troppo rigida o troppo propensa per un metodo o per un altro. La verità è che non ci sono metodi sbagliati se una mamma lo fa con cognizione di causa e seguendo quelle che sono le sue esigenze e quelle del bambino. Alla fine per tutta la vita la mamma sarà quella che manifesterà il suo amore con la frase “Hai mangiato? Hai fame? Ti preparo qualcosa?” e credo che parta tutto da questa primo momento. Non lo so se tornando indietro rifarei tutto quello che ho fatto, sicuramente mi informerei di più e cercherei di farmi influenzare molto meno da alcune credenze, da alcuni metodi troppo rigidi e da situazioni contingenti, probabilmente cercherei la soluzione meno facile perché forse si rivelerebbe anche la più educativa e vantaggiosa a lungo andare.
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