Un’altra settimana è passata e ad Antalya sta finalmente arrivando la primavera. Tutto va inspiegabilmente smooth, liscio, e per la mia vita ciò è decisamente bizzarro. Così insolito che percepisco chiaramente una parte di me leggermente all’erta, in attesa che qualcosa della portata di un terremoto di grado dodici si stia per manifestare in tutta la sua soavità omicida per mandare all’aria il mio piccolo equilibrio.
Ho cambiato turno in ufficio, riuscendo a condensare le mie sei ore giornaliere in un blocco unico, così ora posso iniziare a lavorare presto la mattina ed essere libera nel primissimo pomeriggio. Mi alzo all’alba, ma non mi pesa. Poi controllo le mail, mi faccio la colazione e mi incammino verso il campus. In questi ultimi giorni il tempo viene scandito da un metronomo così magicamente rallentato che mi è quasi sembrato possibile evaporare ed osservarmi da fuori. Nei pomeriggi, sempre ostinatamente ventosi ora che siamo a febbraio, faccio lunghe passeggiate fino alla spiaggia con il mio vecchio inseparabile i-pod, cammino sul lungomare, penso tanto. Passeggiate, spesa al supermercato, studio. Il tutto in totale relax. Continuo a non avere una scheda telefonica (la mia sim non funziona), e la mancanza dell’oggetto che mi rende reperibile in ogni momento e mi intrattiene con le sue musichette ad ogni passo contribuisce a farmi sentire un UFO…nel senso che cammino tra le nuvole.
Grazie agli Orientation Days ho fatto amicizia con alcuni dei nuovi Erasmus e ogni tanto la sera, come stanotte (sono appena rientrata), esco con loro. La settimana scorsa ho promesso a Juliana, una ragazza portoghese davvero simpatica e alla mano, che questo sabato l’avrei portata al bazaar di Lara a fare una giornata per sole donne a base di gözleme (buonissimi… una specie di erbazzone ma dalla pasta sottilissima) e shopping cheap. E così domani, subito dopo colazione, io, Julie, Louise e tre nostre amiche turche voleremo al Mercato dei Sogni! Diodiodiononvedol’ora!
E’ dolce, questa Antalya. E ora che stiamo ancora vivendo in sordina (da inizio marzo in avanti il ritmo cambierà, e di molto!) ho tanto tempo per attardarmi sui miei pensieri, dare loro tempo, ascoltarli. Una frase sentita in un film italiano che stavo guardando qualche sera fa, in particolare, mi ha fornito spunto di ragionamento sulla Turchia, ma soprattutto sui pregiudizi che molti hanno su questo paese. Prima di partire la gente soleva mettermi in guardia; molti, anche chi forse non avrebbe saputo indicare la Turchia su una carta geografica, si sentivano liberi di prodigarsi in ammonimenti, consigli, verità universali. Mi sento un po’ ingrata a dire così, ma ogni giorno sentivo chiacchiere diverse a proposito della mia scelta di partire per Antalya. Quante volte mi sono sentita dire :“Attenta, là è diverso da qua”. E’ vero. Le giornate sono più lunghe, a febbraio non è scesa una gamba di neve che ha costretto i negozi a chiudere e la gente a spalare per ore, il cibo è più speziato, le persone sono più affettuose. Diverso non deve significare per forza peggiore. Per me, in questo caso, in questo posto, diverso è sinonimo di nuovo, magnetico, sconfinato. La Turchia è un paese ricco di storia e di cultura. Credo che incontrare una cultura diversa dalla propria e farci amicizia insegni ad essere più tolleranti nei confronti del prossimo, e non mi sembra una lezione da nulla. Dico questo pur ammettendo di essere la prima ad avere poca pazienza, in Italia, verso gli stranieri maleducati e irrispettosi. Ma è la maleducazione in generale che risulta fastidiosa, ed è una componente dell’individuo, non di un passaporto. Nel senso, a tutti i cafoni si vorrebbe tirare una giornalata in testa, anche ai propri connazionali. Certo, magari qui è sconsigliabile passeggiare da soli la notte nei dintorni di una stazione degli autobus, ma lo sarebbe anche a Milano o a Roma, no? Nessun posto fuori da casa propria è sicuro al buio da soli, ce lo dice il buonsenso, non il TG1. A chi mi diceva “Ma perché proprio in mezzo a quelli?!”, vorrei dire che basterebbe venire qui per rendersi conto di quante imprecisioni circolano su questo paese. I turchi sono persone di panna montata: miti, docili instancabilmente sorridenti. Disposti a chiarirti dubbi sull’Islam, disposti a parlare e a spiegare a te, all’ennesimo straniero curiosone, come mai non mangiano carne di maiale. Come mai in antichità i sultani potevano avere più di una moglie, quale era la vera funzione dell’harem, perché Atatürk è un mito nazionale.
Mi piace sentire il richiamo del muezzin alla preghiera, l’ezan, alle cinque del mattıno e durante tutto il corso della giornata: so sempre che ore sono, e mi ricorda sempre di dove sono e del perché sono qua. Mi piace il profumo dei viali del centro, ad ogni angolo un kebabbaro, una venditrice di simit (una specie di ciambella croccante salata ricoperta di sesamo) o una baracchina che vende zucchero filato ti accolgono e ti accompagnano per qualche passo con i loro aromi deliziosamente tentatori. Mi piace che tutto costi poco. La parrucchiera diventa un meeting settimanale, siccome taglio e piega insieme costano quanto un gelato. Poi ovvio, lungi da me fare pubblicità progresso: per amare la Turchia, seppur penso che sia difficile non affezionarsi alla gentilezza di questo posto,deve piacere il genere. Io volevo un paese musulmano. Ci sono gatti dappertutto. Manifesti di Atatürk in ogni dove. Non mi da fastidio vedere donne con il velo e orde di bambini dietro, o assistere al Bayram, la festa in cui le famiglie più abbienti comprano una pecora e la sacrificano per fare un bel barbecue in onore di Allah. E’ un po’ come quando da noi in campagna si uccide il maiale, solo che da noi è un rito pagano, e da loro religioso. Allora diventa che loro sono dei fanatici e noi solo dei golosi. Immagino che se fossi nata ad Ankara o a Diyarbakır e tra due ore sentissi il muezzin cantare, probabilmente anziché voltarmi dall’altra parte mi alzerei dal letto; e che sullo scaffale più alto della mia libreria non ci sarebbero libri di cucina, ma il Corano. Si può veramente scegliere a cosa credere? O dipende molto da dove sei nato e da chi ti ha cresciuto? Beh, ora vado a letto…e quando tra due ore e mezza sentirò il chicchirichì dalla Moschea, penserò che ho almeno altre sette ore di sonno…e le mie labbra si allungheranno in un sorriso!
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