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Tunisi, Cairo, Tripoli. La primavera del popolo, iniziata con la rivoluzione dei gelsomini tunisina sull'altra sponda del mediterraneo ha assunto i contorni di una rivoluzione travolgente che non può essere fermata nemmeno con i caccia bombardieri lanciati sulla folla inerme. Ma questa scossa tellurica civile in nome della libertà e della giustizia sociale, che mescola nuove forme di comunicazione libera, i social network, alla fine della tolleranza verso lo sfruttamento dei nuovi ceti dirigenziali/aristocratici corrotti e privi di qualsiasi senso dell'onore e della nobiltà che almeno in apparenza dovevano avere le antiche aristocrazie, rischia di non fermarsi, di essere solo l'inizio di qualcosa di grosso, di veramente grosso, capace di sconvolgere la situazione geopolitica non solo del Mediteraneo, ma dell'intero globo.
E' singolare che le rivendicazioni dei popoli in rivolta spaventino non poco i tiranni e i regimi di tutto il mondo. In Cina la rivoluzione dei gelsomini rischiava di svegliare la voglia di democrazia tanto che il governo ha deciso di oscurare le notizie in arrivo dal Magreb. Le preoccupazioni per le contaminazioni che il vento sospinge in tutto il mondo fanno tremare la Mauritania, lo Yemen, la Siria, l'Iran e l'Europa.
La violenza cieca del regime libico è una dimostrazione della paura da parte del tiranno.
Ma cosa stà avvenendo realmente in questi giorni in tutto il Magreb, nella penisola arabica e nel Medio Oriente e non solo?
Questa rivoluzione è profondamente diversa da quelle che il mondo arabo ha visto decenni fa, quelle che hanno portato al potere tiranni spalleggiati da autorità religiose fondamentaliste. Sistemi profondamente corrotti che hanno visto sempre più la contrapposizione tra pochi ricchi e potenti e il popolo sfruttato e privato del futuro. La scintilla che ha fatto deflagrare la rivoluzione ne è proprio una dimostrazione lampante; un giovane laureato di 26 anni che non ha più speranze nel futuro, che ha provato di tutto pur di farcela, anche fare un lavoro molto più umile di quello che i lunghi anni di studio avrebbero dovuto garantirgli, sopraffatto nel vedere che le solite cricche composte dai potenti e dai loro lacchè arraffano senza pietà tutte le risorse del paese, decide di darsi fuoco, di farla finita con un gesto eclatante. Questo "casus belli" ha risvegliato le coscenze di una generazione giovane e culturalmente attiva, capace di senso critico che rivendica il diritto di avere un futuro, di avere opportunità non strozzate da una classe dirigente arrogante, incapace e arraffona che si macchia costantemente di ingiustizie e parassitismo.
Il quadro che ne emerge è la forte contrapposizione tra pochi ricchi corrotti che hanno acquisito il potere e non sono per nulla intenzionati a mollarlo, mantenendolo con ogni mezzo lecito o illecito, tuffaldino e violento pur di continuare a fare i nabbabbi e la grande massa di persone che fortunatamente in nord africa non sono telelobotomizzate e hanno reagito in modo esplosivo ed eroico.
La vera domanda a questo punto è: ma la situazione in Italia e davvero così lontana dal regime di Mubarak (tanto invidiato dal nostro cavalier pompetta) o da quello tunisino di Ben Ali con i suoi quindicimila lacchè che occupano tutti i posti ben remunerati e arraffano tutte le risorse del paese sulle spalle di chi lavora onestamente dalla mattina alla sera?
La risposta non è così semplice, speriamo solo di non arrivare a provare la fame vedendo megayatch e megasuv sfilare davanti ai nostri occhi mentre siamo in coda per comprare il pane con i pochi spiccioli rimasti.
Speriamo di poter risolvere il problema della corruzione e del parassitismo diffuso della classe dirigente italiana senza arrivare a dover fare una rivoluzione come quella libica inondata di sangue e di morte.
Svegliamoci prima, affiniamo la capacità di guardare alla nostra realtà politica con senso critico e oggettività e quando siamo nella cabina elettorale smettiamola di votare con la pancia, ma votiamo con la testa. La miccia è accesa.
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