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Essa attraversa buona parte della storia del costume femminile e il suo affermarsi e la sua evoluzione rappresentano, per sommi capi, l’evoluzione e la presa di coscienza della donna, del suo ruolo in società e dei suoi diritti.
A partire dalla fine del XIX secolo i primi movimenti femministi ritenevano le gonne di allora troppo pesanti ed ingombranti.
La femminista francese Hubertine Auclert creò la Lega per le gonne corte a favore di un abbigliamento femminile più comodo.
Durante la prima guerra mondiale le donne, che dovevano lavorare in fabbrica al posto dei mariti al fronte, cominciarono ad indossare pantaloni e gonne più corte e pratiche.
Negli anni venti, a causa di alcune gonne, che cominciavano a mostrare le ginocchia, negli Stati Uniti vennero varate leggi per regolare la lunghezza minima della gonna.
Nel dopoguerra la stilista Coco Chanel abbandonò l’uso del corsetto e ridusse la gonna fin sotto il ginocchio, impiegando anche il tessuto jersey, fino allora appannaggio delle classi più proletarie.
Progetti questi che, oltre a permettere una vestibilità più comoda, permisero una diffusione commerciale più facile e la nascita del pret-à-porter.
La risposta da parte delle donne, sia pur in eventi eccezionali, non si fece attendere.
Durante i Giochi delle VII Olimpiadi del 1920 la tennista francese Suzanne Lenglen indossò una gonna fino al ginocchio, ideata dallo stilista Jean Patou.
Nei II Giochi Olimpici invernali del 1928 la pattinatrice norvegese Sonja Henie, per prima in quello sport, indossò una gonna corta, che le permetteva di muoversi più agevolmente.
Il mondo dello spettacolo non rimase indietro, e Josephine Baker si esibì con un corto gonnellino fatto da un casco di banane, mentre Marilyn Monroe e Ava Gardner apparvero in gonnellini ridotti.
Gli anni quaranta furono segnati da un ritorno a gonne più lunghe, con ampio uso di tessuto, come dimostra la moda del dopoguerra di stilisti come Christian Dior.
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