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La misoginia di Stato e la favola dell'aborto facile

Da Gianna

La misoginia di stato e la favola dell'aborto facile.Era il 17 maggio del 1981: il 68% degli italiani decise di mantenere in vigore la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza così com'era stata approvata dal parlamento il 22 maggio del 1978. E quella legge esiste ancora, nonostante che, nel corso di questi anni, ci siano stati vari tentativi di ritoccarla. 
(AGENPARL) - Roma, 20 mar - "Mozione bipartisan alla Camera "per dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa". L'iniziativa dei deputati Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Buttiglione, Binetti, Capitanio Santolini, Calgaro, Di Virgilio e Mantovano mira a tutelare l'obiezione di coscienza non solo di coloro che sono impegnati a vario titolo nelle strutture ospedaliere, ma anche quella dei farmacisti. "Il diritto all'obiezione di coscienza non può essere in nessun modo 'bilanciato' con altri inesistenti diritti e rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della libertà nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste".
Tutto giusto? Non lo so…… quel “inesistenti diritti” mi fa storcere il naso…non si riferirà mica al diritto all’aborto per caso?
Io sono la prima a sostenere il diritto alla libertà di opinione, ma ritengo assurda la presenza di medici obiettori all’interno dei reparti di ostetricia. E se tutti i medici dicessero “no”? Mettiamo che l'intera categoria dei ginecologi facesse obiezione di coscienza: sarebbe ancora possibile per le donne interrompere la gravidanza in Italia? Non siamo così lontani da questo scenario. Nel nostro Paese, secondo il ministero della Salute, sono obiettori all'aborto sette medici su dieci: dato già abbastanza curioso in un Paese dove solo il 36,8 dei cittadini si dichiara "cattolico praticante" (Eurispes 2006). La lega dei ginecologi denuncia che ormai i medici che scelgono l'obiezione sono il 90 per cento, spesso per motivi che con la coscienza non c'entrano niente.Certo, non è facile trovarsi da soli a dire "sì" in un reparto di obiettori, malvisti quando non vessati dai colleghi. La parte del Don Chisciotte non si addice a tutti, soprattutto quando i mulini a vento sono il tuo primario o il direttore dell'ospedale. E poi, semplicemente, non si fa carriera, tutto il giorno in trincea a fare aborti. Specie se i vertici dell'ospedale sono di nomina politica e di area cattolica (o addirittura ciellina). E così qualcuno, per non finire al confino, sceglie il "no”. A farne le spese ovviamente sono le donne, che si ritrovano meno medici a disposizione, liste di attesa più lunghe e interventi non di rado fissati allo scadere del 90° giorno. Il risultato? Liste d'attesa infinite, donne che vanno all'estero, altre che si rivolgono di nuovo alle mammane. Si sta arrivando al solito paradosso all'italiana: c’è una legge e non c’è la possibilità di applicarla. Questa specifica opzione del medico ha conseguenze molto gravi sulla libertà della donna di accedere senza disagi aggiuntivi ai trattamenti ai quali ha diritto e ogni ostacolo che le viene frapposto rappresenta un elemento di rischio per la sua salute e una restrizione di fatto della sua libertà e dei suoi diritti civili e sociali. La clausola dell’obiezione di coscienza dei ginecologi era legittimata solo ai tempi in cui la legge entrò in vigore: i medici cattolici che lavoravano in ospedale furono sorpresi da una innovazione alla quale non avevano pensato nel momento in cui avevano fatto la loro scelta e avevano tutti i diritti di dissociarsi. Certo, sarebbe stato lodevole se si fossero impegnati a dedicare il tempo risparmiato a fare informazione sui contraccettivi, un mezzo per dimostrare la coerenza della loro scelta, ma non si può pretendere troppo. Attualmente però, chi sceglie una specializzazione o decide di lavorare in un ospedale pubblico sa bene che cosa lo aspetta, e se lo fa già sapendo di essere ben deciso a ignorare i diritti di molte pazienti (diritti ai quali dovrebbero corrispondere precisi doveri dei medici), compie un gesto molto discutibile sul piano umano e su quello morale. 
Forse è bene ribadire un concetto: il tema è quello della salute della donna, si tratta di un problema che non può essere disatteso e di una responsabilità ineludibile. La libertà è sacra, ma quando c’è di mezzo la salute delle donne non ci può essere un criterio acritico per cui uno decide quello che vuole sulla base di princìpi o interessi esclusivamente personali.


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