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La misura cautelare sempre più un’anomala anticipazione della sentenza di condanna… e della pena

Creato il 27 agosto 2011 da Iljester

La misura cautelare sempre più un’anomala anticipazione della sentenza di condanna… e della pena

Non ho seguito con grande passione le vicende giudiziarie di Filippo Penati (Partito Democratico). Sinceramente non ho provato grande meraviglia nel sentire i capi d’accusa contestatigli; capi riferenti a reati tipicamente «politici», quali la concussione e la corruzione. Anche se, chiaramente, mi ha colpito il fatto che davanti alla richiesta di arresto presentata dai Pubblici Ministeri, il GIP abbia ritenuto di non provvedere all’applicazione della misura cautelare, riqualificando il reato di concussione in corruzione. I PM, naturalmente, hanno fatto ricorso al Tribunale del Riesame.
Questa vicenda mi dà da riflettere. Oggigiorno, l’applicazione della misura cautelare, pensata dal legislatore come provvedimento del tutto eccezionale – finalizzato cioè a soddisfare determinate esigenze, che nello specifico sono il pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove – è diventata sempre più una misura ordinaria, quasi obbligatoria. Una forma di anticipazione della sentenza di condanna e dunque della pena.
Chiaramente non è giuridicamente sano che un istituto, nato con presupposti e finalità differenti (garantire che il reo non commetta altri reati o si sottragga alla giustizia), poi venga distorto in modo così palese. Eppure accade. Anche quando è evidente che il reo non sfuggirà alla giustizia oppure non commetterà altri reati, i giudici e i pm fanno presto ad applicare una misura cautelare, salvo i casi in cui la legge lo vieti. Insomma, solo quando è la legge a dire «no», la magistratura si ferma. Nelle altre ipotesi, quando vi è un margine di libertà dell’autorità giudiziaria, la misura cautelare diventa una consuetudine ordinaria. Un’anticipazione anomala della condanna con forti connotazioni punitive.
La nostra Costituzione in teoria non permetterebbe simili situazioni. Già sancendo il principio che la libertà personale è inviolabile (art. 13 Cost.), stabilisce l’eccezionalità delle misure restrittive della libertà medesima. E seppure è vero che poi precisa che solo con provvedimento dell’autorità giudiziaria questa può essere limitata, è anche vero che la restrizione deve trovare la propria ratio nella legge. La quale però trova applicazione solo e se l’autorità giudiziaria la interpreta. La conseguenza ovvia è che al fin fine la legge lascia ai giudici e ai pm ampia discrezionalità sulla valutazione se sia opportuno o meno porre un limite alla libertà dell’individuo davanti a determinate situazioni. Il che non è proprio opportuno, o comunque non lo è più. Soprattutto quando il fenomeno assume elementi preoccupanti di pressione psicologica sull’indagato.
E in Italia la restrizione anticipatoria della libertà personale – la cosiddetta misura cautelare in carcere o presso il proprio domicilio – assume proprio questo connotato: è uno strumento di pressione psicologia, che spesso rasenta la violenza morale sull’individuo indagato, vietata dalla Costituzione. In altre parole, in sede giudiziaria, viene spesso forzato il dato letterale della norma, che si arriva a prevedere l’arresto cautelare anche quando oggettivamente e soggettivamente non è necessario.
È un fenomeno preoccupante che misura il livello di civiltà della nostra giustizia. E certo non ci può difendere, sostenendo che si tratta di persone indagate per reati gravi, o che la legge prevede comunque a garanzia il criterio del fumus dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.). Se è vero questo, è anche vero che il fumus è solo un pre-parametro in un iter logico-giuridico che deve portare il giudice a valutare i presupposti che poi giustificano l’applicazione della misura (art. 274 c.p.p.). L’impressione invece è che il giudice utilizzi solo questo pre-paramentro per valutare l’applicazione. Nei fatti, è sufficiente il fumus per disporre l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale.
Credo che il legislatore debba rimettere mano all’intera disciplina. Non tanto per attenuarla, quanto per erodere ancor più la discrezionalità del giudice. Magari ancorando l’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale a presupposti ancor più precisi e inderogabili. Magari riservando la misura cautelare più pesante (come la custodia in carcere) ai reati davvero importanti e pericolosi per la società, come per esempio, i reati di omicidio volontario, i reati di terrorismo e mafia, violenza sessuale e pedofilia.
D’altro sono anche consapevole che la lentezza della giustizia italiana trova spesso sfogo nell’applicazione di una misura cautelare, e che i cittadini – vittime, o parenti delle vittime di determinati reati – trovano nella custodia cautelare in carcere (più che negli arresti domiciliari del reo), un’anticipazione della loro legittima «giustizia». E sono consapevole che forse questo è uno dei motivi che hanno nel tempo snaturato la funzione della misura cautelare. E allora, sarebbe altrettanto opportuno che il legislatore velocizzasse ancor più l’iter processuale penale: l’anticipazione della condanna o della pena è innaturale, come è innaturale che la giustizia venga soddisfatta da uno strumento che di per sé ha altri obiettivi e presupposti.

 

di Martino © 2011 Il Jester


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