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La morte del cantante poeta Mango, un linguaggio oltre e oltre l’infinito delle parole…
Da LalunaeildragoPierfranco Bruni
Una voce nella melodia tutta mediterranea con echi che sembrano giungere da un vento soffiato sul mare. Il Sud nell’anima e le parole tra Mogol di “Mediterranea” e il cadenzare di una voce che ha suoni di distanze vicine. Se ne è andato nel vento del Sud. Come una rondine. Mango. Un infarto lo ha portato tra le nuvole. Quella sua nostra rondine che ha un volo di una estate che ha gli occhi della bellezza. Entrava nel gioco ad incastro di quel linguaggio musicale che ha toccato i miei studi su Califano, Ruggieri, Mia Martini, Endrigo a cominciare da Luigi Tenco e Fabrizio De André.
È naturale che sono impossibili comparazioni o divisioni, confluenze musicali o condizionamenti. Non è questo il punto. Era nel linguaggio musicale di una parola che accentua il cantico. Mango rientra in un percorso in cui la parola gioca su un mosaico filigranato con la poesia. L’antico tema che non smetterà mai di unire. La canzone e la poesia. Nei testi di Mango c’è poesia. Ma la mia posizione è risaputa su tale questione. Colpito al cuore con l’eco delle parole e il suono che ha accompagnato la sua vita. E anche la nostra. “Stai qui con me/ stanotte piove /e piove su noi”. Pioverà su noi sino a quando i suoi “falsetti” soffieranno tra le nostre parole e cattureremo quelle onde che sanno di sale e di addio: “…è solo un addio/credimi io non ci penso mai/vedo che hai pianto tu lo sapevi ma da quando/bella d'estate vai via da me/notte d'incanto/è bello vedere/le luci laggiù/io sono stanco…”. Già, le parole di “Bella d’estate” mi hanno accompagnato lungo tanti viaggi, ascoltandola e riascoltandola più volte sino al giorno in cui l’ho incontrato. Era tra il 1995 – 1996. Poi 2004. 2007. Il Mango cantante è il Mango poeta dei suoi versi, dei suoi libri che raccolgono un paesaggio di emozioni e di liricità che attraversa il suo essere tra la parola e il suono. Sono le sue poesie (“Nel malamente mondo non ti trovo" del 2004 e “Di quanto stupore” del 2007) che sembrano danzare in un gioco inevitabile che va da Lorca a Neruda, da Pessoa a Hikmet e incontrano i destini dell’amore in una inevitabile indissolubilità tra la parola che non si perde e il ricordo che non smette. Dopo quell’incontro, un nuovo incontro. Era, appunto, il 2004 e aveva un sorriso nella malinconia graffiata nel verso. Ci fu un nuovo incontro proprio in occasione del suo primo libro di poesie e poi successivamente all’uscita del secondo libro. Neruda delle venti poesie d’amore e una canzone disperata campeggiava nei suoi testi come le ventuno poesie di un Pavese che canta l’amore e l’addio, ovvero la fine dell’amore. Sì, c’ero alla libreria Feltrinelli a Roma alla presentazione del suo libro nel 2004. Ma qual è la differenza tra un tramonto e una danza? Versi che recitano malinconie. E poi anche “… la scorza di mandarino sulla brace. /Somiglia ad un amore intenso, /fatto di notti solitarie…”. Poesia nella canzone o poesie che conquistano una musicalità che non è della canzone soltanto, ma della poesia in sé. In più occasioni, nelle mie conferenze, parlando del rapporto tra poesia e musica ho citato i versi di Mango intrecciandoli ad altri autori, cantautori e poeti, una “simulazione” che non è mai tale, ma che diventa indefinibile. Molti testi di Mango restano poesia, molta poesia di Mango ha una musicalità interiore. La sua morte è uno strascico nella vita. E la sua vita ritorna nella terra della sabbia a raccontarci quel nostro Mediterraneo che ha luci che ci attendono: “…guarda là/quella nuvola che va'/vola già dentro nell'eternità”. Il mare e l’amore, la malinconia e la danza e gli echi che non smettono: “Ti amo così /propensione ad appiglio dell'anima /ti amo così /sorprendente disegno d'altissimo…”. Ma il mare ha l’infinito come gli addii: “…un nuovo cerchio nel cuore /forse ne morirò, non lo so /che ne sarà del mare /ch'è in me, in me”. Nel suo primo libro di poesie in Prefazione Mango sottolineava: “E' solo da poco che ho scoperto la poesia come scrittura, come liberazione dell'anima quando chiede aiuto, quando è massima espressione dell'uomo, come danza infinita, come amplesso di sempre toccato dal cielo e da rami d'ulivo…”. Una liberazione dell’anima in un infinito di cielo e di vento. E oltre? Oltre… Riascoltiamolo nel suo “Oro” che è bellezza… Questo antico ragazzo nato a Lagonegro, e sempre tra le sue terre ha respirato l’ultimo respiro… Da Lagonegro, 1954 a Policoro, 2014. Oltre? E’ tra l’infinito e il finito con la speranza che ci sia una canzone o una poesia veramente eterna… Chissà… come nella sua “La rosa dell’inverno”: “Non è un profumo in più /non è il vento ora sei tu /non mi lascia tempo /è qualcosa che /assomiglia a te /dentro…”.
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