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LA MORTE DEL GESTO CREATIVO – parte prima

Creato il 03 febbraio 2013 da Giulianoziveri @giulianoziveri

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George Steiner, il famoso filosofo e critico letterario del novecento, offre un’impietosa e lucidissima diagnosi delle malattie che stanno privando la parola di forza e legittimità e s’interroga sul futuro del linguaggio e dell’umano. Perché, argomenta Steiner, “il linguaggio è il mistero che definisce l’uomo, in esso l’identità e la presenza storica dell’uomo si esplicano in maniera unica. È il linguaggio che separa l’uomo dai codici segnaletici deterministici, dalle disarticolazioni, dai silenzi che abitano la maggior parte dell’essere. Se il silenzio dovesse tornare di nuovo in una civiltà in rovina, sarebbe un silenzio duplice, forte e disperato per il ricordo della Parola”.
Nell’epoca che stiamo vivendo, è l’immagine a distruggere la cultura occidentale, sostituendosi via via all’uso delle parole nell’intento comunicativo. La lingua è divorata dal minimalismo ossessivo dei codici digitali.
A un flusso inarrestabile di fugaci immagini digitali/virtuali sembra oggi affidato il compito di plasmare e garantire l’identità delle culture: questo processo inesorabile, conseguenza di una mutazione tecnologica totalitaria già in corso, ne sta disseccando le radici, sgretolandone progressivamente la struttura portante prima consegnata alla forza creativa e costruttiva del linguaggio, – determinando il realizzarsi di distanze incolmabili tra l’anima e le parole, tra l’uomo e la sua terra.
Inevitabile è dunque assistere a crisi violente che rischiano di fagocitare le nostre civiltà, crisi che già stanno risucchiando nel loro vortice di superficie anche il senso trasformativo e comunicativo dell’Arte, svuotando del suo valore profetico l’opera degli artisti figurativi contemporanei.
Alcuni di loro, aderendo in pieno al progetto digitale, elaborano immagini e animazioni mediante i linguaggi macchina e funzioni matetematiche interpretate da un programma, più vicini a un’“ingegneria estetica” e al design che all’espressione artistica (si può citare, già negli anni ’70, Benoit Mandelbrot, inventore del software per realizzare la geometria “frattale”, necessaria per rappresentare la natura, costituita da una struttura caotica non rappresentabile con la geometria euclidea).
Come scrive Franco Zeri (*), l’operare artistico con i mezzi digitali, oltre che di tipo “progettuale”, vicino al design e all’estetica della comunicazione, può essere “concettuale”, ovvero vicino a sistemi di comunicazione complessi e multi direzionali (ripensandoci, è stato proprio l’aspetto concettuale ad attrarmi, sin dal 2000, verso una tecnologia di cui percepivo più i rischi delle potenzialità).
Altri artisti che non aderiscono al progetto digitale, si limitano a produrre cloni del “già fatto” o si riducono, consapevolmente, a praticare profanazioni dissacrazioni degenerazioni, – mere operazioni di marketing, – disperati e disorientati, alla ricerca di un nuovo senza inizio, producendo opere prive di verità, dando solo definizioni diverse allo stesso gesto inutile, dalle arterie scevre di conoscenza, un gesto a vuoto, senza impulso, partorito da un’immaginazione annichilita, suo malgrado, dall’inflazione digitale.
In realtà, questa non è la tragedia di un artista piuttosto che di un altro, ma di tutta l’Arte (e con essa, dell’Uomo).
Il pensiero di Adorno era occupato dall’ossessione e dal pessimismo per il mondo mercificato della tecnica; in “La filosofia della musica moderna” egli aveva preconizzato un destino tragico di morte dell’Arte o attraverso l’omologazione alla produzione tecnica o attraverso l’incomprensibilità del linguaggio privato. Ciò che viene negato nel futuro dell’Arte è sia la possibilità dell’emergere di una comprensibilità non omologata, sia una rivoluzione comprensibile (**).
D’altronde, constatiamo che l’arte crea le sue forme e le modifica quando in esse non riesce più a esprimersi. Ogni mutamento non è però solo un segnale di fuga dall’omologato: contestualmente al mutamento, emerge un messaggio di invito all’attenzione il cui scopo è metterci sull’avviso o gridarci che, almeno nelle intenzioni dell’artista, si è in presenza di vera arte e non di quel comporre pittorico, musicale ecc. delle cui forme si sono ormai impadroniti, a fini ludici e economici, il pubblicitario o il compositore di musica da ballo (***).

Alla luce di quanto sopra, viene da porsi, ancora una volta, la domanda: “Che cos’è un’opera d’Arte? Che cosa oggi la caratterizza?”
Un opera d’arte, oggi, può definirsi tale, e comunicativa, a mio avviso, solo quando vede nascere la propria essenza sulla morte del gesto creativo, ovvero dell’Arte stessa, che su questo destino funebre dovrà ri-fondare i propri canoni estetici.
Accettando questa ultimazione e assistendo a questo “funerale” si realizzerà, in una catarsi, che MEZZO, CONTENUTO E FINE dell’opera d’arte sgorgano finalmente dalla stessa matrice intima, assumendo la stessa forma.
Approfondirò questo concetto, alla base del mio attuale lavoro, in un prossimo scritto.

(*) http://www.francozeri.it, Arte Digitale
(**) citazione da Ezio Saia, Contesto di comprensione:rivoluzione delle Avanguardie e urto spaesante, in http://www.criticaimpura.wordpress.com
(***) citazione da Ezio Saia, Contesto di comprensione: razionalità e comunicabilità nelle opere narrative, artistiche e musicali, in http://www.criticaimpura.wordpress.com



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