Quest’estate mentre grondante di sudore mi arrampicavo tra i massi di un leggero pendio diretta verso una cascatella di montagna ho intitolato un giorno di vacanza come un libro.
Una cosa divertente che non faro mai più. Il divertimento erano gli altri, quelli che attraversavano la mia fatica in senso contrario. Donne fascinose con tacchi sportivi quanto improbabili mi sfilavano davanti al seguito di uomini panciuti in compagnia di cagnetti da salotto, coppie attempate di montagna con cesto in vimini e pic-nic incorporato, bimbi allegri e troppo saltellanti.
Soffrivo e mi divertivo insieme mentre tutti mi salutavano. In montagna sembra che tutti si conoscano, ti capita di incrociare un perfetto sconosciuto tra i boschi e quello ti saluta.
Una vacanza può allenare il nostro spirito di osservazione, l’avevo vissuto sulla mia pelle e l’avevo letto in quella stessa estate in un saggio esilarante di David Foster Wallace, uno dei più eclettici scrittori americani, prematuramente scomparso.
Prima di iniziare a scrivere Wallace era solito osservare a lungo le sue storie, quella volta per scrivere il testo pubblicitario commissionatogli dalla rivista Harper’s per una nota compagnia di crociere a cinque stelle, era partito in viaggio. Sette giorni ai Caraibi per scrivere un articolo che in seguito sarebbe diventato il suo libro più divertente, un reportage di viaggio che è il ritratto dell’americano in vacanza.
Ogni viaggio in un luogo sconosciuto è una scoperta di sguardi in tridimensione. Possiamo scegliere delle cascatelle di montagna o una crociera nel mar dei Caraibi, ma per raccontare ognuna di queste avventure come una storia occorre saperla guardare, come per leggerla, occorre averne viste tante altre.
Leggere è un esercizio di visione tridimensionale che ci impone di proiettare le immagini del nostro vissuto dietro le parole di uno scrittore per riconoscerci vicendevolmente in un gioco di identità. Leggere, come scrivere in tridimensione, è una questione di affinità che forse abbiamo sviluppato verso uno scrittore o uno stile di scrittura in particolare proprio perché, più di ogni altro, riesce a evocare atmosfere che ci appartengono. Ogni narrazione, a saperle cogliere, ha tre dimensioni: quella superficiale, in cui si manifesta l’aspetto discorsivo di un testo, quella intermedia che lascia spazio alla narrazione e al suo intreccio e quella profonda in cui emergono i valori che avvicinano tra loro lettore e scrittore.
Ognuno porta con sé un mondo di valori assolutamente immateriali e intangibili che si riferiscono a un contesto di vita e lo proietta leggendo sullo sfondo delle sue letture.
Le affinità in tridimensione tra lettore e scrittore nascono in un luogo e in un tempo precisi e possono addirittura farci sperimentare una crociera oceanica, anche se non ci è mai capitato di navigare in mare aperto.
Una cosa divertente che non farò mai più è il diario dettagliato della nascita di un messaggio pubblicitario commissionato a un grande scrittore americano.
David Foster Wallace, quando ha scritto per la pubblicità, ha sperimentato dal vivo ciò che doveva raccontare con le parole.
“Scrivere questo pezzo gli piacque da morire” ha dichiarato Colin Harrison, vice presidente e editor della casa editrice americana Scribner, allora caposervizio della rivista Harper’s, così qualche mese dopo dal suo viaggio consegnò un pezzo lunghissimo che in versione ridotta divenne un articolo pubblicitario e nella versione originale un saggio.
La scrittura di David Foster Wallace nasceva dalla comunione con ciò che aveva deciso di raccontare, un puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che aveva visto, sentito e fatto. La sua era una scrittura cerebrale che prima d’essere rielaborata dal pensiero aveva attraversato tutti i suoi sensi. Per questo era adatta alla pubblicità, perché quella scrittura la potevi vedere, sentire, toccare e annusare. Era una narrazione in tridimensione che alla fine ti trasmetteva delle sensazioni forti.
Prima di pubblicizzare una crociera Wallace si era cimentato con l’advertising giornalistico per la promozione di una fiera agricola, il pezzo era risultato talmente acuto ed esilarante che la compagnia di crociere 7NC aveva scelto lui per la sua campagna stampa promozionale.
La comunicazione pubblicitaria racconta storie che suscitano emozioni per esprimere i valori a fondamento dell’identità di un marchio e di un popolo. Senza la coerenza tra i valori di un prodotto evocati da uno spot pubblicitario e lo spirito di una nazione, la comunicazione fallisce, proprio per tale ragione Nazione e Narrazione in pubblicità coincidono e ciò accade ancora di più in un mondo globalizzato.
Nella comunicazione pubblicitaria una marca può rispecchiarsi in una Nazione proprio perché ogni prodotto nasce in uno spazio fisico, sociale, culturale e politico capace di influenzare profondamente la comunicazione e i valori alla base di un brand.
Una marca tanto più è globale e conosciuta al mondo tanto più ha impresso nel proprio dna la storia e l’essenza stessa del luogo in cui è nata.
“Una cosa divertente che non farò mai più” ha dichiarato Fernanda Pivano: “È un ritratto a dir poco agghiacciante dell’americano in vacanza”.
Ma su quali valori si fonda l’identità degli Stati Uniti evocati in questo saggio? Il saggio di Wallace descrive un’America eccessiva e grottesca. Wallace si sente profondamente diverso dai suoi connazionali in vacanza e questa discordanza suscita il divertimento che alimenta le sue caratteristiche note a piè di pagina e tutta la narrazione del libro.
Uno stile di scrittura che narra alla perfezione l’identità di un popolo e che fa di un marchio una narrazione potente, perché incarna i valori di una Nazione.
“…Dall’11 al 18 marzo 1995, io volontariamente e dietro compenso, mi sono sottoposto ad una crociera «7 Notti ai Caraibi» (7NC)…A parte le lievi varianti adattive a seconda della nicchia la «Crociera Extralusso 7NC» costituisce un genere uniforme. Questo prodotto non consiste in un servizio o in una serie di servizi. Non è neanche tanto il divertimento: è più come dire una sensazione. Cioè cercano davvero di produrla in te questa sensazione: una miscela di relax ed eccitazione, di appagamento senza stress e turismo frenetico, quella fusione particolare di servilismo e condiscendenza propagandata con il verbo viziare.
Il fatto che gli americani degli anni Novanta tendano ad associare la parola viziare ad un particolare prodotto di consumo non è casuale, non credo…” David Foster Wallace
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