Cos'è una nazione? Oggigiorno si è definitivamente imposta l'accezione moderna della parola nazione, nel senso di una comunità di individui, residenti in uno spazio geografico coerente, affini per sangue (cioè etnia, stirpe), cultura, lingua e religione.Si tratta di una interpretazione originariamente coniata nel contesto della Rivoluzione Francese e poi fatta propria dal Romanticismo europeo – e, spiccatamente, da scrittori e filosofi tedeschi come F. Schiller – successivamente adattata alla realtà italiana, nella sua interezza geografica, al volgere del XIX secolo.Prima delle speculazioni concettuali romantiche, la nazione designava essenzialmente il luogo di nascita, specie se riferito ad un soggetto collettivo. Si parlava di nazione napoletana, ad esempio, per un nativo del Regno delle Due Sicilie. Altre volte questa collocazione territoriale generica poteva riferirsi ad ambiti geografici non necessariamente corrispondenti a specifiche entità statali, soprattutto quando esistevano usi e costumi comuni: è il caso dei Lombardi, sudditi dell'imperatore austriaco, che si rifacevano alla civiltà comunale dei secoli XII-XIII.Nella nostra penisola, tuttavia, le élites intellettuali – ma non, attenzione, la stragrande maggioranza della popolazione, che non sapeva ancora cosa si intendesse per lingua italiana (si parlava ancora, sino alla diffusione di massa della televisione, negli anni Sessanta del XX secolo, quelli che ora sono i dialetti locali) o Risorgimento, né aveva mai letto Muratori, Vico o Machiavelli (ancora nel 1861 il 74,4 % della popolazione italiana era analfabeta) – si rifacevano spesso ad un labile concetto di koinè culturale, una comunità dotata da secoli di lingua e letteratura comuni – il fiorentino di Petrarca e Boccaccio e le opere di Dante, Bembo, Ariosto, Tasso e Alfieri – che si riteneva figlia ed erede diretta degli antichi Romani.Sebbene oggi molti diano per scontata l'aprioristica esistenza di una nazione italiana, oggetto del desiderio delle masse ben prima della proclamazione del Regno d'Italia nel 1861, la realtà è che, ancora agli inizi del XIX secolo, la penisola era divisa in molteplici stati con specifiche leggi, tradizioni, storie, territori e lingue, spesso neppure abituati a commerciare l'un l'altro. La comunanza di stirpe, spazio geografico e cultura corrisponde a mitologie ed agiografie costruite a tavolino dopo la conclusione delle guerre risorgimentali: “Fatta l'Italia, ora facciamo gli Italiani”, avrebbe detto, secondo la tradizione, Massimo D'Azeglio. Emerge dunque un'idea di nazione intesa come una creazione artificiale, soggetta, come tutto in questo mondo, al divenire storico.L'idea di uno stato italiano unitario, prima dell'elaborazione delle speculari proposte costituzionali di Mazzini, Gioberti, Cattaneo e dei teorici affiliati alla Società Nazionale (il progetto di unificazione peninsulare sotto la guida di Casa Savoia destinato ad imporsi nel 1861), matura per la prima volta nel 1796, nella cittadina ligure di Oneglia occupata dai Francesi; ad elabolarla è un rivoluzionario di professione, Filippo Buonarroti, grande estimatore dei giacobini d'Oltralpe.Ma perchè Italia? Perchè questo toponimo, assai caro alla memoria dei Reggini, che designava anticamente la fascia territoriale compresa fra l'istmo lametino-squillaceo e Capo Spartivento, finì poi, sin dall'epoca romana, per abbracciare la penisola nella sua interezza geografica, dalle Alpi alla balza di Scilla, così come scriveva il Manzoni; così come, del resto, di “espressione geografica”, parlava, malignamente, il principe di Metternich quando gli veniva chiesta la propria opinione in merito alla questione italiana.Questi brevi cenni etimologici risultano preziosi ai fini di una comprensione esaustiva del fenomeno risorgimentale e delle mitologie create prima, durante e dopo la genesi dell'unificazione politica ed economica della penisola. Del resto, il 150° anniversario dell'unificazione potrebbe essere celebrato degnamente se accompagnato da una serie di studi metodici, coerenti ed immuni alle strumentalizzazioni o agli sterili revanchismi, in modo di divulgare al grande pubblico lo sviluppo storico di un'idea di nazione.
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Cos'è una nazione? Oggigiorno si è definitivamente imposta l'accezione moderna della parola nazione, nel senso di una comunità di individui, residenti in uno spazio geografico coerente, affini per sangue (cioè etnia, stirpe), cultura, lingua e religione.Si tratta di una interpretazione originariamente coniata nel contesto della Rivoluzione Francese e poi fatta propria dal Romanticismo europeo – e, spiccatamente, da scrittori e filosofi tedeschi come F. Schiller – successivamente adattata alla realtà italiana, nella sua interezza geografica, al volgere del XIX secolo.Prima delle speculazioni concettuali romantiche, la nazione designava essenzialmente il luogo di nascita, specie se riferito ad un soggetto collettivo. Si parlava di nazione napoletana, ad esempio, per un nativo del Regno delle Due Sicilie. Altre volte questa collocazione territoriale generica poteva riferirsi ad ambiti geografici non necessariamente corrispondenti a specifiche entità statali, soprattutto quando esistevano usi e costumi comuni: è il caso dei Lombardi, sudditi dell'imperatore austriaco, che si rifacevano alla civiltà comunale dei secoli XII-XIII.Nella nostra penisola, tuttavia, le élites intellettuali – ma non, attenzione, la stragrande maggioranza della popolazione, che non sapeva ancora cosa si intendesse per lingua italiana (si parlava ancora, sino alla diffusione di massa della televisione, negli anni Sessanta del XX secolo, quelli che ora sono i dialetti locali) o Risorgimento, né aveva mai letto Muratori, Vico o Machiavelli (ancora nel 1861 il 74,4 % della popolazione italiana era analfabeta) – si rifacevano spesso ad un labile concetto di koinè culturale, una comunità dotata da secoli di lingua e letteratura comuni – il fiorentino di Petrarca e Boccaccio e le opere di Dante, Bembo, Ariosto, Tasso e Alfieri – che si riteneva figlia ed erede diretta degli antichi Romani.Sebbene oggi molti diano per scontata l'aprioristica esistenza di una nazione italiana, oggetto del desiderio delle masse ben prima della proclamazione del Regno d'Italia nel 1861, la realtà è che, ancora agli inizi del XIX secolo, la penisola era divisa in molteplici stati con specifiche leggi, tradizioni, storie, territori e lingue, spesso neppure abituati a commerciare l'un l'altro. La comunanza di stirpe, spazio geografico e cultura corrisponde a mitologie ed agiografie costruite a tavolino dopo la conclusione delle guerre risorgimentali: “Fatta l'Italia, ora facciamo gli Italiani”, avrebbe detto, secondo la tradizione, Massimo D'Azeglio. Emerge dunque un'idea di nazione intesa come una creazione artificiale, soggetta, come tutto in questo mondo, al divenire storico.L'idea di uno stato italiano unitario, prima dell'elaborazione delle speculari proposte costituzionali di Mazzini, Gioberti, Cattaneo e dei teorici affiliati alla Società Nazionale (il progetto di unificazione peninsulare sotto la guida di Casa Savoia destinato ad imporsi nel 1861), matura per la prima volta nel 1796, nella cittadina ligure di Oneglia occupata dai Francesi; ad elabolarla è un rivoluzionario di professione, Filippo Buonarroti, grande estimatore dei giacobini d'Oltralpe.Ma perchè Italia? Perchè questo toponimo, assai caro alla memoria dei Reggini, che designava anticamente la fascia territoriale compresa fra l'istmo lametino-squillaceo e Capo Spartivento, finì poi, sin dall'epoca romana, per abbracciare la penisola nella sua interezza geografica, dalle Alpi alla balza di Scilla, così come scriveva il Manzoni; così come, del resto, di “espressione geografica”, parlava, malignamente, il principe di Metternich quando gli veniva chiesta la propria opinione in merito alla questione italiana.Questi brevi cenni etimologici risultano preziosi ai fini di una comprensione esaustiva del fenomeno risorgimentale e delle mitologie create prima, durante e dopo la genesi dell'unificazione politica ed economica della penisola. Del resto, il 150° anniversario dell'unificazione potrebbe essere celebrato degnamente se accompagnato da una serie di studi metodici, coerenti ed immuni alle strumentalizzazioni o agli sterili revanchismi, in modo di divulgare al grande pubblico lo sviluppo storico di un'idea di nazione.
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