Mi capita spesso durante il lavoro terapeutico che il paziente mi chieda con un certo timore: “Dottore, ma io sono un nevrotico? Che tipo di nevrosi ho? Posso guarire?” E’ proprio sul significato che do a quella parola nevrosi, e al conseguente comportamento clinico, che si delinea la differenza fra me junghiano e un freudiano. Cerchiamo anzitutto di capire cosa dice la letteratura sulla definizione di nevrosi.
- Nevrosi: Disturbo psichico più o meno grave che si manifesta con sintomi di vario genere (ansia, ossessioni, paralisi momentanee di uno o più arti ecc.) Da: il Dizionario della Lingua Italiana di Sabatini Coletti.
Però,
- Nel (DSM-IV) del 1994 ( manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) il termine ‘nevrosi’ non trova più un unico corrispettivo, soprattutto sul piano clinico e hanno preferito elencare delle sottocategorie secondo i sintomi definendole come ‘reazioni acute allo stress o all’ adattamento’. Di fatto sono stati introdotti tutta una nuova serie di quadri clinici che sono: fobie, disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo post-traumatico da stress e disturbo acuto da stress.
- Freud, in due articoli del 1923 ( nevrosi e psicosi) precisava le affinità e le differenze fra due disagi psichici: nevrosi e psicosi. Egli definiva: “La nevrosi come il risultato del conflitto fra l’Io e l’inconscio. Mentre la psicosi era il risultato analogo di un equivalente disturbo nelle relazioni fra l’Io e il mondo esterno”. Per Freud e poi anche per Jung, le differenze fra nevrosi e psicosi sono fondamentali. Infatti nelle psicosi non vi è consapevolezza e riconoscimento della realtà esterna all’Io. L’Io, nel caso delle psicosi, si può sentire minacciato, in pericolo e spesso, per evitare una conseguente angoscia può “scegliere” la via della frammentazione o della scissione. E’ questa la ragione che porta il paziente ad esprimere comportamenti stravaganti, bizzarri, apparentemente incoerenti, folli o perversi.
- Secondo Freud quindi, la nevrosi consiste in dinamiche all’interno del Sé, dove il tentativi di reazione e di difesa dell’ Io hanno “fallito” nel loro obiettivo di allontanare definitivamente dalla coscienza pensieri disturbanti. Per Freud, ogni nevrosi altera, limita la libertà e le potenzialità dell’Io. Compito della psicoterapia è eliminare quanto più possibile l’interferenza del pensiero nevrotico.
E’ proprio questo concetto di nevrosi che Jung ribalta totalmente modificando anche il significato clinico del disagio nevrotico. Per lui la nevrosi non è il sintomo da curare ma, la strada da seguire. La nevrosi non è un disturbo ma la via per la nostra individuazione.
Scrivono infatti M. Pignatelli e L. R. Baldaccini in “ la tecnica junghiana” ( Trattato di psicologia analitica. Di A. Carotenuto): “La nevrosi non la si può intendere sempre ed esclusivamente come una malattia da eliminare, ma anche come un’espressione di ‘quell’altro’ che noi siamo e che, a suo parere, la tecnica scalzante e svalutativa della psicoanalisi (freudiana) tenderebbe a paralizzare per sempre”
Per Jung, lo scopo della psicoterapia non è quello interpretativo-riduttivo che si fonda sul sospetto “che nessuno è padrone a casa propria” come diceva Freud, ma sulla convinzione di una immensa e diversa ricchezza presente in ognuno di noi che deve crescere, palesarsi, differenziarsi, anche con dolore, alias, con la nevrosi, dove l’analista può solo, ascoltare e permettere l’espletamento di ciò che è in potenza. Tenere cioè un atteggiamento maieutico.
E, del dolore, del disagio, che ne facciamo in terapia?
Lo leggiamo, cerchiamo di capirlo, interpretarlo. Il dolore è il faro che ci indica con chiarezza la strada. Quante volte, anche nella mia esperienza clinica ho sentito pazienti dire: “meno male che mi sono venuti gli attacchi di panico, da allora mi sino riappropriato della mia vita”. Anche in situazioni più drammatiche, ex infatuati che dichiarano di aver “cominciato a vivere” dopo l’infarto.
Ma, il dolore non è solo sintomo è anche “ croce” , fatica a vivere. Per alcuni il dolore è la fatica di prendere contatto con parti di sé ed è così acuto da sembrare una condanna, una “ingiustizia” che può “pesere” per tutta vita.
Ci auguriamo di poter dire come San Paolo alla fine della sua vita “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa….Ora mi resta solo la corona di giustizia”. 2 Tim. 4, 6-8.
Anche lui faceva i conti con una vita che potremmo definire nevrotica. Scriveva infatti in 2Corinzi 11 che aveva chiesto a Dio di liberarlo dalle sue nevrosi: “….. mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: ‘La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza’. Perciò molto volentieri mi vanterò delle mie debolezze….”
Tornando quindi alla domanda iniziale dei miei pazienti: “….ma dottore io sono nevrotico?
La mia risposte è sempre la stessa: “lo spero”.
http://www.psicolinea.it/nevrosi-e-psicosi-freud-1924/
http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/N/nevrosi.shtml
http://www.nienteansia.it/disturbi-ansia/
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