Questa immagine è una di quelle destinate a durare nel tempo. Indipendentemente da come finirà l’Europeo, non è difficile che l’inevitabile lavoro di semplificazione esercitato dall’oblio risparmierà i fotogrammi del tenero bullo piantato sul campo, teso nello sforzo, che a me pare ironico, di elencare i suoi muscoli e di assumere la statuarietà di un’insospettabile Nike di Danzica.
Quello che molti hanno faticato a capire, parlando e sparlando dell’incontro tra italiani e tedeschi, nasce dalla elementare storia di uno sport, il più popolare. Diremo che una rivalità poi è fatta di molte cose. Ma alla fine sono i ricordi, e soprattutto i ricordi legati a qualcosa da conquistare o da perdere. Italia e Germania: le squadre di calcio europee che hanno vinto di più (sette titoli mondiali e quattro continentali, complessivamente). Per questo al tifoso di calcio (in questo caso più rilevante dell’antropologo o del culturologo con una birra in mano e il televisore al plasma) “odia” chi potrebbe alterare prima di tutto un equilibrio incerto. E la rarità degli appuntamenti (forse uno ogni dieci anni, se facciamo una media) fa schizzare il termometro dell’intensità fino al suo culmine. Chi si rende protagonista di un Italia Germania – e subito pensiamo alla voce di Martellini che dice “Riva… Riva…”, all’urlo di Tardelli in faccia alla telecamera, all’altro urlo di Grosso che ammutolisce lo stadio di Dortmund – sa che entrerà nella storia e nei ricordi di milioni di persone. Non so se Balotelli ne era consapevole. Ma lo siamo noi per lui e questo dovrebbe fare la differenza, anche per lui.
Adesso tutti parleranno – anzi, già parlano – di un caso difficile risolto in favola. Ma la favola è incompiuta (è sempre incompiuta) e l’unico modo per renderla appena più lieta sarebbe quello di sfruttare la popolarità di questo ragazzo per abbassare un po’ il livello di abominevole razzismo che, e non è ancora passato, colpiva in precedenza lui e colpirà altri, non destinati a segnare due gol a una Germania.
Balotelli uno di noi? Certo. Ma fin quando non saremo pronti ad allargare quel concetto di “noi” anche a tutte le categorie di persone usualmente espulse a furia d’insulti dal “noi” striminzito che supponiamo di essere e di essere sempre stati, fin quando non saremo pronti a fare questo anche una grande vittoria di calcio non potrà che renderci felici nel modo più amaro.