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La “nuova economia” di Luigi Sturzo

Creato il 02 luglio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

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Nella voce del Lessico sturziano dedicata al Capitalismo, l’economista Giovanni Palladino delinea la visione di Luigi Sturzo del rapporto tra capitale e lavoro; visione che contiene al suo interno i principi per la costituzione di un capitalismo responsabile, sorretto da una base etica e genuinamente “popolare”

Appena ventenne, Sturzo è profondamente influenzato dalla lettura della Rerum novarum, che prospettava, afferma Palladino, “una soluzione non conflittuale per la questione operaia”. Riguardo a ciò, leggiamo nell’enciclica che “lo scandalo maggiore è questo: supporre una classe sociale nemica naturalmente dell’altra; quasi che la natura abbia fatto i ricchi e i proletari per battagliare tra loro un duello impacabile; cosa tanto contraria alla ragione e alla verità”. Il sacerdote siciliano si convince che benessere e giustizia si sarebbero potuti conseguire solo “convertendo” il capitalismo ai principi dell’etica cristiana, che invita, sottolinea Palladino, “alla massima concordia e intesa anche nel campo economico-sociale”. Mettendo in pratica tali valori, in breve tempo Sturzo si rivela un efficiente promotore del principio di solidarietà sociale, dando vita a cooperative di lavoro, di produzione e di consumo e istituendo una cassa rurale in funzione anti-usura.

La sua decisione di utilizzare il termine “popolarismo” per denominare la dottrina socio-politica da lui ideata deriva proprio dall’idea che, spiega Palladino, “il capitalismo, da sistema dominato dall’egoismo dei potenti e dallo sfruttamento dei piu deboli, doveva trasformarsi in un sistema aperto a tutti, partecipativo, caratterizzato dalla stretta alleanza fra gli imprenditori e i lavoratori, che finalmente non sarebbero piu stati ‘estranei’, ma cointeressati allo sviluppo e alla buona salute del capitale investito nelle imprese private”. È così che nel 1920 Sturzo propone a Giolitti, che lo rifiuta, il disegno di legge Partecipazionismo e Azionariato del Lavoro; nella presentazione leggiamo che “capitale e lavoro hanno un solo e comune interesse: che l’azienda vada bene e produca a vantaggio comune … Occorre che i proletari partecipino anche al possesso”.

Come rileva Palladino, Sturzo pone l’accento sui pericoli “del capitalismo anonimo e irresponsabile, ovvero della degenerazione del capitalismo privato, quando questo finisce per essere manipolato e concentrato nelle mani di poche persone e quindi di ristretti interessi”. Già nel 1933, in un articolo intitolato Schiavitù antiche e moderne pubblicato sul quotidiano El Matì di Barcellona, afferma che “il male è il capitalismo anonimo e irresponsabile”, che ha causato “il distacco morale dei fattori della produzione, padrone ed operaio”, e insiste sulla necessità di una riconciliazione: “occorre riavvicinare gli uomini fra di loro, padroni e operai, capi di stato e cittadini, classi e classi, popoli e popoli, per rompere i vincoli di schiavitù che si vanno formando come cerchi infrangibili”.

Al suo rientro dall’esilio dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Palladino evidenzia come Sturzo veda nell’attuazione di una alleanza tra capitale e lavoro la “condizione per la relizzazione di una vera pace per la convivenza internazionale”, temendo tuttavia per l’Italia “soprattutto la deriva verso lo statalismo, se si fosse dato troppo potere alle imprese e alle banche del settore pubblico”. In un intervento al Senato nel 1954 afferma che “in Italia da tempo siamo avviati al capitalismo di stato e quindi siamo avviati alla formazione di una nuova ristretta classe politica costituita dai partecipanti a tale capitalismo … così si andrà sempre più rattrappendo l’iniziativa privata e sempre più ingigantendo quella pubblica, che avrà dal suo lato tutto il potere e quasi tutto il possesso. Coloro che riusciranno a vivere ai margini dell’economia statale, dovranno secondarne l’ingrossamento e cedere nel campo politico alle esigenze dei partiti” (Scritti di carattere giuridico, Zanichelli, Bologna 1962 pagg. 148-150).

Risulta evidente l’attualità di tali problematiche, che nel tempo, anziché essere state risolte, sono peggiorate. Sarebbe il caso di riprendere le indicazioni sturziane di una visione “popolare” della politica e dell’economia, verso cui – in maniera più o meno consapevole – sono debitrici le moderne teorie che prospettano una “economia etica” più responsabile, solidale e partecipativa.

Marco Cecchini


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