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L'ultimo è quello di fare due passi in centro, entrare da Feltrinelli a cercare un regalo, prenderlo un po' per caso dallo scaffale, sedersi ad un tavolo di legno pieno di pensionati che leggono il giornale e occhialuti studiosi che sfogliano libroni costosissimi, e leggerlo tutto d'un fiato, una pagina dopo l'altra. Per poi riporlo, ringraziandolo perché è riuscito a strapparti un sorriso, e tornare fuori nella Milano che piove.
Di lì a poco la visione svanì e il ponte, come quelli appena superati, tornò a essere solo un punto di sutura tra due separazioni.Su quella strada desolata e solitaria, priva di suoni, calò un mistero senza soluzione. L’industriale della seta restò accasciato sull’asfalto, la testa fra le mani. Poi si tirò su e s’avviò stancamente per la via lungo la quale sapeva di trovare l’ultimo ponte.
Ci arrivò in meno di mezz’ora, camminando storto come un ubriaco, con l’animo scosso e il cervello frastornato. L’ultimo ponte era piuttosto lungo e portava d’un balzo sul lato opposto della strada, sotto una scarpata di crode verdastre. In quel punto, fissando le rocce che sparivano di sotto, sentì nuovamente la sensazione di vuoto.
Si fermò appoggiato alla ringhiera, pronto a tutto. Sotto di lui parlottava il torrente. Era uno dei rari tratti in cui scorreva tranquillo. Laggiù il vento non andava a importunarlo. Salti e balze non s’ergevano a innervosire l’acqua e la culla dove scorreva era liscia come la mano d’un bimbo. Intorno alla valle, tutto riposava nella tranquilla dolcezza di primavera. Tuttavia, la scena che gli si parò davanti sul settimo ponte non era affatto tranquilla. Si tenne stretto con le mani alla ringhiera e guardò avanti. Vide la casa di San Marcello e i genitori nel giorno del suo compleanno. Lo festeggiavano. Era il 12 aprile di un anno che in seguito aveva voluto dimenticare. I genitori tagliavano la torta per i suoi diciotto anni. Le sequenze scorrevano come un film. Dopo la torta, con grande compostezza, sorretti dalla convinzione di doverlo fare, babbo e mamma svelavano al figlio che era un trovatello. Per questo non avevano invitato nessuno.
In quel momento, mentre osservava la visione di se stesso, ricordò nitidamente come si era comportato quel giorno lontano. Si vide ascoltare la rivelazione dei genitori e poi piegarsi sulle gambe e piangere e imprecare contro di loro per non averglielo detto prima. Avrebbero dovuto dirglielo subito che era un orfano! E per questo bestemmiava, li offendeva, li insultava... infine apriva la porta e se ne andava sbattendola. Fin qui la visione non fece altro che ripetergli ciò che già sapeva. La scena se la ricordava bene. Ricordava anche di aver in seguito girato mezzo mondo per allontanare i fantasmi di quel momento straziante. Un momento che pensava di aver seppellito nel passato.
Mauro CoronaLa casa dei sette pontiPag. 45
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