Perché diavolo si deve leggere? Per una montagna di ottimi motivi che adesso non sto certo qui a elencare. Tra i tanti, direi anche questo: perché altrimenti non si è in grado di distinguere una buona pagina di un bravo autore, da una un po’ così. E se si hanno delle aspirazioni “libresche” è un guaio.
Ci stavo riflettendo qualche giorno fa mentre leggevo “I racconti dell’età del jazz” di Francis Scott Fitzgerald, uno dei miei autori preferiti. Questa raccolta contiene anche “Il diamante grosso come l’hotel Ritz”, e non mi ha entusiasmato per niente.
Questo mi ha condotto a riflettere sulla magia che la pagina esercita sulle persone; e il rischio che ne deriva. Non è vero che la magia è tutta buona: prima di tutto devi imparare a riconoscerla, e a comprendere che c’è quella buona, e quella cattiva. Quindi segui la prima e stai lontano dalla seconda, o almeno la isoli perché non possa nuocere.
Se non avessi letto migliaia di pagine nel corso della mia vita, non so se sarei riuscito ad apprezzare quello che c’è di buono in quel racconto. Forse avrei liquidato questo autore con rapidità: non è all’altezza. Oppure per paura del suo nome, della notorietà che Scott Fitzgerald ha raccolto attorno a sé avrei giudicato quel racconto “bellissimo”. In ambedue i casi avrei commesso un errore.
Di solito una persona che non legge e vuole scrivere (praticamente un folle), ammira tutto quello che gli capita a tiro. Purché sia su una pagina, cartacea o digitale non importa. Non riesce a distinguere affatto la diversa gradazione della qualità di uno scritto (o tra più scritti di un medesimo autore). Liquida tutto con dei superlativi assoluti, ma non è capace di scendere nello specifico. Un po’ come capita con le automobili: è “bella”, “comoda”, “veloce”.
Lo sono un po’ tutte, davvero.
È quando si inizia a conoscere il motore e gli altri elementi meccanici che il giudizio assume profondità e diventa utile. “Il volante è rigido”; “l’innesto delle marce non è fluido”; “l’interfaccia del navigatore è poco intuitiva”.
La pagina da sempre o quasi, ha questa capacità di annebbiare il buonsenso di chi legge. È il suo scopo, si capisce. Perché affezionarsi a gente che non esiste? Per quale ragione restare inchiodati a leggere di Ben Gunn e Long John Silver, e rabbrividire quando viene intonata la canzone:
Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto, yo-ho-ho! yo-ho-ho! E una bottiglia di rum!
Occorre leggere. Rileggere e re-imparare a leggere per scrollarsi di dosso le scorie di tante letture scolastiche fatte non per apprendere. Ma per portare una relazione all’insegnante.
Con la lettura si scopre anche un’altra verità: chi scrive non deve ricreare nulla, né riprodurre. Mi è capitato di leggere cose di questo genere: “Ho cercato di riprodurre l’atmosfera di…” (chi legge questo post inserisca il titolo del libro che preferisce).
O ancora: “Ho ricreato lo stesso clima che si respirava nelle pagine di…”
Secondo me si tratta solo di espedienti per attirare l’attenzione. Dubito che chi afferma questo genere di cose lo pensi sul serio. Uno scrive, scrive per mesi o anni per produrre una specie di… copia?
No: si crea ex-novo. Ed è necessario lavorare duro per creare una storia efficace. Ma che sia la nostra, per tutti i diavoli.