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La panchina e l'altalena

Creato il 19 ottobre 2014 da Valentina Orsini @Valent1naOrs1n1

La panchina e l'altalena
Quel che ricordo meglio di quando ero bambina, è quella necessità che avevo di passare inosservata, poter godere del privilegio di ragionare ad alta voce, inventare discorsi elaborati, improvvisarmi in sorrisi, facce tristi.
Ricordo quanto era bello sentirsi "grande", ma non troppo, e ricordo di come si parlava a bassa voce tra noi, i piccoli amici del parco. Si stava così bene, e non eravamo mai gli stessi.Perché non era mai sempre domenica.
C'era il bambino che veniva con la nonna, un altro con la zia, chi con il padre, con la madre. Raramente, madre e padre insieme. Erano i tempi in cui si credeva di avere maggiori difficoltà nel socializzare e abbandonarsi a incontri occasionali, brevi, e invece sono diventati quelli che oggi si ricordano con grande nostalgia. Perché tutto ci veniva più naturale, i nostri genitori o chi per loro, erano lì e avevano occhi solo per noi e per gli altri. Figure umane attorno agli scivoli e dietro le altalene. No tablet. No smartphone.Al massimo un quotidiano o la settimana enigmistica.
"Papà mi spingi?""Più forte, più suu".
Se c'erano i papà si finiva col parlare di calcio o di macchine. Le mamme invece parlavano dell'ultima ricetta trovata sul Talismano, o di noi che crescevamo troppo in fretta. Se le mamme poi erano amiche, ma anche "quasi", si finiva col parlare di cose più strane, complicate. I soldi, la suocera, i parenti, le bollette. E poi l'amore.
E a noi certe cose un po' facevano paura, o semplicemente volevamo evitarle. I discorsi dei grandi erano "cose da grandi". Perché occuparcene? Eravamo bambini e basta, tutto quello che riguardava il mondo dei grandi noi lo capivamo, ma credevamo nel nostro diritto di poter aspettare ancora un po', e che tutti quei paroloni ci avrebbero travolto prima o poi. Ma...meglio poi. 
Quelle due ore al parco erano preziose, tutte per noi. Certo anche a noi piaceva fare i grandi, a volte. Ma a salvarci era quel "facciamo finta?". "Io la mamma, tu il papà e lui fa il figlio". "Io la moglie, tu il dottore" e così via. Fino a immaginare di avere un cagnolone tutto per noi (perché la mamma non ne vuole), o un fratellino piccolo. E fare la cassiera del supermercato, la maestra, la rockstar. Si passava la maggior parte del nostro tempo a inventare, e nella migliore (o peggiore) delle ipotesi, riuscivamo ad immaginare tutto del mondo dei grandi e del nostro futuro.
Oggi i bambini non immaginano più certe cose, le sanno. Ed è terribile.
Da ieri mi muovo nel ricordo di quei giorni al parco. Il merito di questo ritorno alle origini è di due bambini.Non i miei. Luca e Francesco, i miei figli, passavano dallo scivolo all'altalena e dall'altalena allo scivolo, e così hanno fatto per circa due ore. Accanto a me invece, su una bella panchina, un bimbo e una bimba. Più o meno otto/lui e dieci/lei anni.
La mia attenzione si è come divisa in due, e gli occhi e le orecchie si davano il cambio. Così, mentre sorvegliavo i miei bimbi, ascoltavo i piccoli interlocutori della panchina accanto.
Prima osservazione: la panchina è riservata ai genitori. I bimbi dovrebbero andare sull'altalena. O no?
Mi sono ritrovata nel mezzo delle confessioni di un piccolo uomo e di una piccola donna, ho sentito così distanti gli anni dei miei giorni al parco...ho sofferto per quel diritto violato alla spensieratezza e al rimandare le cose dei grandi a tempo debito. Come facevamo noi, "i bambini di allora". Ho pensato a come saranno i discorsi al parco dei miei figli e ho desiderato con tutta me stessa che quel momento potesse non cambiare mai.
Che tra la panchina e l'altalena, almeno loro, almeno per un altro po', continuino a preferire la seconda.

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