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La parola ebreo.

Da Bens
Spero non me ne vorrà la signora Loy se le rubo il titolo di un suo delicatissimo e bellissimo libro, per scrivere quattro pensieri sparsi. Ora, chi mi segue da tempo avrà certamente notato una mia ritrosia nell'affrontare dinamiche politiche di qualsiasi genere, non perché non me ne importi molto, anzi, credo piuttosto che a voi, del mio credo o non-credo politico, importi meno di niente. Qui si è sempre parlato di altro, con toni più o meno seri, ma forse con qualche colorata battuta può essere sia capitato di avervi lanciato nebbiosi indizi su come la penso in generale, del mondo, di me stessa, dei miei libri, delle persone a cui voglio bene, a cui voglio male. Però ieri sera è successa una cosa. E' successo che mentre ero a cena con degli amici (quattro ragazzi, molto diversi tra loro, per studi, interessi, ambizioni) si sia finito per naufragare in quel melmoso campo che è la disquisizione massima di argomenti grossi che rigà dopo du' bocce de vino io ve giuro faccio sempre fatica a seguire. Ma ve la faccio breve: qualcuno tira fuori l'argomento Priebke, un altro lo segue a ruota, scandalizzato dalla proposta di legge a favore del reato di negazionismo, per concludere con una rosea chiosa al grido "ragazzi, il tempo del poro ebreo è finito". La verità è che io non mi sono mai vergognata tanto. Per loro. Il filo apparentemente logico è il seguente: scandalizzarsi per un funerale, eccitarsi per qualche subumano che prende a calci la bara di un morto e scagliarsi contro i paladini dell'immenso progetto sionista brutti e cattivi perché va beh che sono morte un sacco di persone ma sono morte settant'anni fa, mo' basta. Il ché forse ha un suo senso inverso se pensiamo al fatto che io non mi sarei mai sognata di applaudire chi disturba un funerale proprio come ritengo che il negazionismo sia un crimine. Appellarsi alla libertà intesa in senso generale, quindi dalla libertà di pensiero a quella d'espressione e così via, non è esattamente la legittimazione per qualsiasi cosa. Tanto è vero che se offendo qualcuno, questo qualcuno ha il diritto di denunciarmi. Ma se nego sei milioni di morti quella è libertà d'opinione. Ora, vi prego, spiegatemi che opinione è. E non voglio nemmeno stare a sentire la storiella di chi mi propina giudizi di valore del tipo "se la pensa così è solo uno stupido, non un criminale". Eh no belli miei, perché un professore universitario che nega la Shoah non è uno stupido, è uno stronzo; un matematico a cui non bastano le prove che la storia dolorosa dei sopravvissuti ha consegnato a tutti noi, non è uno stupido, è un farabutto. Non sottovalutate la cattiveria, non è mai stupida. Il negazionismo non è un'opinione, è un'offesa, una lurida infamia che cancella la vita di chi è comunque nato ed è comunque vissuto. Il negazionismo non è un'opinione, è un omicidio, uccide due volte e uccide con più astuzia, perché vuole cancellare la memoria e senza qualcosa da ricordare noi non siamo più niente.
Mi piace pensare che qualche volta esista un divisorio tra quello che è giusto e quello che è sbagliato; che non esistano zone grigie. Voglio questo lusso, da italiana, da studentessa, da figlia, da sorella, da amica, il lusso di qualcosa che sia solo bianco o nero.

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